evil dungeon master 1Da un po’ di tempo mi frulla nel cervello questo concetto senza che sappia bene come portarlo a compimento o cosa farmene… e cosa c’è di meglio che darlo in pasto ai miei venticinque lettori per vedere se contiene qualcosa di meritevole di discussione? Bene, la sostanza è questa: nei giochi di ruolo di impostazione tradizionale il Master ha un’importanza enorme (e fin qui, niente di nuovo), ma – e qui viene la domanda – potrebbe darsi che questa importanza sia preminente sul sistema di regole usato al punto da privare di rilevanza le regole e/o la distinzione formale tra un gioco e l’altro?

Andiamo per ordine:

1) Per “giochi di impostazione tradizionale” intendo D&D e i suoi figli, che si giocano tutti nella stessa maniera: il Master descrive il mondo, il giocatore dice cosa vuole fare il suo personaggio, il Master dice se ci vuole un tiro di dado oppure no, si esegue l’eventuale tiro di dado, il Master narra l’esito della prova. Tutti (e sottolineo TUTTI) i giochi tradizionali hanno questa impostazione. Si può dire (e infatti è stato detto) che le regole del gioco di ruolo siano tutte qui. Quelle che vengono di solito chiamate “regole” in realtà lo sono soltanto in via subordinata, complementare. Questo perché le regole che ho sopra riassunto dicono come si gestisce il rapporto tra i partecipanti al gioco e come si distribuisce l’autorità narrativa all’interno del gioco stesso. Queste regole sono così importanti che spesso vengono date per scontate, oppure sono esposte in maniera implicita nel famoso e immancabile paragrafo iniziale dei manuali che fa un esempio di sessione di gioco. In realtà meriterebbero di essere spiegate meglio e messe bene in evidenza, magari articolandole in modo chiaro e sottolineandone l’importanza a giocatori e Master. Ma tant’è. Le altre regole sono quelle che distinguono un gioco dall’altro. Cose come il numero di dadi da lanciare, il modo di risolvere le situazioni aleatorie, il modo di risolvere i conflitti, il sistema di combattimento e mille altri dettagli. Queste regole disciplinano la creazione e la gestione “in game” dell’alter ego dei giocatori, NON l’interazione dei giocatori tra loro, cioè vengono in rilievo solo se e quando il patto sociale che sta alla base del gioco di ruolo è stato stipulato (anche solo in maniera implicita). Per assurdo, se un giocatore a un certo punto del gioco dice: “E’ una bella giornata di sole e il mio personaggio va fare una passeggiata” tutti, chi più e chi meno, “sanno” che ha fatto una cosa che non poteva fare. Una frase così suona sbagliata anche al più digiuno di teoria del GDR. Questo perché il giocatore ha contravvenuto a una di quelle regole fondamentali che attengono al patto sociale: nella fattispecie, ha assunto autorità narrativa riguardo al mondo, cosa che invece nei giochi tradizionali è esclusiva del Master. E’ lui che dice se piove o tira vento, perché è lui che rappresenta il mondo di gioco.

Le regole secondarie invece danno una serie di dettagli che sono rilevanti solo in un secondo momento, cioè quando tutti sono d’accordo sulle regole fondamentali. Solo allora ci si può concentrare sui dettagli del sistema.

dungeon-master-3d-level-construction-kit_082) Tutto quello che fanno i giochi, commerciali o autocostruiti poco importa, è di modificare e perfezionare e cambiare e rivoluzionare le regole di secondo livello. Quelle di primo livello sono diverse solo se si vanno a cercare giochi innovativi, un po’ più d’avanguardia. Non deve trattarsi per forza di un gioco “masterless” o particolarmente strampalato. Ci sono molti giochi nuovi che tentano di innovare in questo campo, con diversi gradi di carica innovativa e con diversi gradi di successo. Ma quando si parla di giochi tradizionali lo schema è sempre lo stesso. Il Master (o Arbitro o Narratore, per comodità lo chiamo Master) è il gestore indiscusso e indiscutibile delle regole primarie. E’ lui che:

a) è il signore assoluto del mondo di gioco, nel senso che inventa tutto quello di cui potranno fare esperienza i giocatori, l’antefatto, le situazioni di contorno, i PNG, le loro reazioni, i loro obbiettivi, le loro debolezze, gli eventi ordinari e straordinari, i cataclismi e le catastrofi;

b) è l’unico che abbia autorità narrativa sul mondo di gioco, cioè spetta a lui descrivere tutto ciò che non sia strettamente connesso ai sentimenti e alle reazioni intime dei personaggi giocanti. Il Master può dire che piove, e piove. Il Master non può dire come si sente un personaggio (quello spetta al giocatore), ma se un giocatore dice “faccio una smorfia, mi alzo e avanzo” può amputare la frase a “faccio una smorfia”, esigendo un tiro di dado per vedere se il personaggio riesce davvero ad avanzare. Può anche fornire un motivo plausibile: “Fai per avanzare, ma ti senti afferrare le braccia. I due energumeni seduti di fianco a te ti tengono inchiodato sul posto”. Il punto non è se il Master faccia bene a gestire così la sua autorità, il punto è che le regole primarie gli consentono di farlo.

c) è l’unico che decide se un’azione riesca automaticamente, fallisca automaticamente o richieda un tiro di dado. Per evitare discussioni deve solo aver cura di giustificare in maniera ragionevole le sue decisioni. Alcuni sistemi più intransigenti limitano in qualche modo questo potere senza però eliminarlo del tutto.

d) è l’unico che possiede autorità narrativa sull’esito delle prove. Non solo decide “a monte” la difficoltà di una prova, ma ne descrive il risultato sulla base del tiro di dado. Anche qui, occasionalmente si vedono sistemi che conferiscono al giocatore il potere di influire su questa narrazione, ma in misura davvero esigua e con l’attenta supervisione del Master.

e) è l’arbitro delle discussioni che possono sorgere tra giocatori sull’interpretazione delle regole secondarie.

f) cosa ancor più importante, è l’arbitro dell’interazione tra giocatori. Se un giocatore assume atteggiamenti disfunzionali è compito del Master, in quanto arbitro del gioco, di richiamarlo all’ordine. Alcuni lo fanno esplicitamente, altri piegano le regole per “dare una lezione” al giocatore, altri ancora influiscono sul suo comportamento in maniera più obliqua ma ugualmente penetrante. E’ lui che dà o toglie la parola ai giocatori, che mantiene l’ordine nelle fasi più concitate del gioco, che incoraggia implicitamente o esplicitamente certi tipi di gioco rispetto ad altri.

3) A questo punto viene spontaneo chiedersi: quanto contano le regole secondarie a confronto delle regole primarie e dello strapotere del suo gestore principale? Ogni Master ha il suo stile, la sua impronta caratteristica. Ognuno ha il suo modo di gestire il gioco, che è il risultato di un’infinità di fattori diversi, più o meno evidenti. Si va dalla padronanza della lingua, al linguaggio non verbale usato per approcciarsi ai giocatori, all’abilità nel descrivere, alla più o meno marcata capacità di gestire le regole primarie e secondarie, a tratti impalpabili come: simpatia, capacità di percepire le sfumature della lingua parlata, conoscenza della natura umana, abilità nel manipolare i giocatori. E ancora: la motivazione. Perché fa il Master? Cerca riconoscimento, soddisfazione alla propria vanità, vuole essere “il capo”, vuole far divertire, vuole che i personaggi raccontino una storia, vuole che i personaggi raccontino la “sua” storia? Cerca evasione? Cerca sfida? Gioca “contro” i personaggi? E’ uno che studia le regole (secondarie) o si sente libero di ignorarle? Ha l’istinto dell’arbitro pedante o del despota? E’ accondiscendente, paternalista, oppure freddo e inflessibile? Fa favoritismi? Se ci sono individui dell’altro sesso al tavolo da gioco, usa la sua autorità per avere ascendente personale su di loro (in positivo o in negativo)? Ha fantasia? Scrive le sue avventure o usa avventure pubblicate, e se sì, quanto fedele si mantiene all’originale?

Questo immenso bagaglio culturale e umano ha un impatto devastante su qualsiasi gioco, su qualsiasi sistema di regole secondarie. In paragone all’impronta data al gioco dal Master, le regole secondarie sembrano davvero perdere ogni importanza. Al punto che certe volte mi sono domandato: ma non è che i giocatori, quando faccio il Master, stanno giocando non a D&D o MdT o a SdG, ma sempre e soltanto “a Pennymaster”? E io, quando mi calo nei panni del più sfigato dei padawan, sto giocando a StarWars o “a Mescal”? Ha un senso cambiare gioco oppure i cosiddetti “sistemi universali” in fondo hanno ragione a ridurre tutto a un identico set di regole secondarie e a far cambiare solo l’ambientazione? E’ ancora valida la vecchia massima forgita “System does matter”? Domande provocatorie, a cui non so dare risposta definitiva.

3 pensieri su “L’impronta del Master nei GDR tradizionali

  1. I concetti esposti sono talmente tecnici e profondi che mi si sono intrecciati i neuroni un paio di volte! Io penso, che il Master, se bravo fa perdere importanza al sistema usato, quindi se vogliamo attribuire una percentuale a questo concetto, direi 70% Master e 30% Sistema.

  2. La massima forgita è valida proprio perchè evidenzia i difetti del tradizionale che hai descritto. Quando il “sistema non conta” le meccaniche diventano ininfluenti ed il gioco coincide con il master, per questo è importante che il sistema dia gli strumenti per non farlo accadere, il “sistema conta” nelle riuscita della sessione.

    Questo tuttavia, non vuol dire che il sistema tradizionale sia sbagliato o carente (anche perchè offre un tipo di esperienza non riproducibile con altri sistemi) più che altro richiederebbe manuali scritti con molta attenzione proprio per limitare le derive che hai descritto, fermo restando che una percentuale di rischio è sempre presente.

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