Mordheim, il capolavoro involontario


Posto un articolo dopo molti mesi di assenza, più come una riflessione personale che per comunicare qualcosa. Recentemente ho spostato la mia attenzione dal gioco di ruolo in solitario (che comunque sto ancora esplorando) ai giochi di miniature in solitario, dato che mi diverte anche l’aspetto hobbistico di questa attività. C’è un piacere infantile e gioioso nel costruire, modificare e dipingere quelli che sono a tutti gli effetti dei soldatini. Risveglia la mia anima (da tempo sopita) di modellista. Stesso discorso per gli scenari: terreni, rovine, alberi… sono un’iniezione di creatività di cui avevo bisogno. Ho quindi provato vari giochi, tra cui il bellissimo Rangers of Shadowdeep, e ho letto molti regolamenti, alcuni belli, altri un po’ meno.

Tuttavia, al di là del gioco in solitario, ci sono dei “mostri sacri” nel gioco skirmish con miniature che non possono essere ignorati. Mordheim è uno di questi. Avevo letto il regolamento di Mordheim molti anni fa, ripromettendomi di giocarlo prima o poi. Ogni tanto (ma tanto tanto…) costruivo un pezzo di terreno, due rovine, una casa diroccata, pensando “questo andrebbe bene per Mordheim” e dimenticandomene per mesi.

Com’è, come non è, in questo periodo mi sono trovato a scoprire di nuovo questo gioco, anche se non è un gioco in solitario. Esistono a ben vedere dei sistemi della casa per giocare da soli, ma secondo me snaturano il gioco. Mordheim è un’esperienza sociale, un divertimento di gruppo, una narrazione condivisa.

Mordheim è, per usare le parole di Vince Venturella, un “capolavoro accidentale”. Games Workshop non aveva previsto il successo che ha avuto, non aveva la minima idea della longevità della community che si è sviluppata intorno a questo gioco e decisamente non desiderava supportarlo più di tanto. E’ un gioco uscito nel 1999, il suo supporto ufficiale è cessato nel 2003, se non vado errato. Come dire, non vi stupite se oggi alla GW spingono giochi mediocri e affossano quelli meglio riusciti, sono vent’anni che si comportano così.

Epperò.

Epperò alla guida del progetto c’era tale Tuomas Pirinen, e alla parte grafica c’era John Blanche. Genio puro. Libero da condizionamenti “corporate” e dai vincoli politicamente corretti che avrebbe invece al giorno d’oggi, Blanche ha usato uno stile potente, grimdark, irriverente, ricco di humor nero e dettagli macabri. Ha persino dato inizio senza saperlo a uno stile di pittura di miniature, completamente opposto a quello pulito, asettico e schematico adottato ufficialmente dalla GW. Cercate su Google il termine “Blanchitsu” e godete.

Non esistono più miniature ufficiali di Mordheim, tranne che su Ebay, di solito a prezzi ridicolmente alti. Il bello è che la community ha interiorizzato l’estetica di Mordheim e si è sbizzarrita nella nobile arte del “kit bashing” (se non siete modellisti, googlate pure quello). I risultati sono spettacolari, in alcuni casi molto al di sopra degli originali. Date un’occhiata al magazine online 28 (https://28-mag.com/) per comprendere il livello a cui viaggiano certi appassionati. Il numero 2 in particolare è dedicato a Mordheim.

I regolamenti, aggiornati, ripuliti e integrati, sono disponibili gratuitamente online. Il sito di riferimento, dopo la chiusura della sezione “specialist games” da parte della GW (altra mossa geniale, non sbagliano un colpo, eh?) si chiama Broheim. Qui si trova di tutto, dalle regole alle espansioni, dalle bande aggiuntive agli articoli delle fanzine e delle riviste ufficiali.

Quindi non ci sono scuse per non giocare a Mordheim. Sto cercando di coinvolgere qualche amico in questo mondo, ci sono un paio di candidati facili da convincere (Mescal per esempio è una corda di burro, è bastato fargli fare una partita di prova), mentre un altro paio sono un po’ più ostici, ma posso farcela. E’ come far partire un transatlantico, ci vuole un po’ prima che prenda l’abbrivio, ma poi non lo fermi più. L’ho fatto tanti anni fa con il gioco di ruolo, posso farlo ancora. Confido nella qualità del gioco, più che nella mia capacità di lodarne le virtù. Intanto posto le immagini del mio tavolo da gioco e delle bande che ho preparato. Hai visto mai…

Keep gaming.

La mia banda del Culto dei Posseduti
Una SECONDA banda di posseduti, perché mi sa che la prima morirà presto e male…
Questi sono i non morti di Mescal
Cacciatori di streghe

One D&D e le regole della casa


Nel mondo del GDR si è creato un piccolo tsunami di opinioni contrastanti quando Wizards of the Coast ha annunciato il progetto per la prossima edizione di D&D. Che poi non è nemmeno una nuova edizione, a sentire loro. Si tratterebbe di un nuovo modo di intendere D&D, con un regolamento retrocompatibile al 100% con la 5ed e nonsisaquanto% compatibile con le altre edizioni. La novità starebbe nello spostamento dell’accento sugli strumenti digitali di supporto al gioco e nelle revisioni incrementali al regolamento. Quasi a voler scoraggiare la stampa e l’acquisto di nuovi manuali cartacei. Digital delivery anche per il GDR tradizionale? Boh, in realtà siamo ancora nella fase – che io detesto con tutte le mie forze – del bla bla bla del marketing. In particolare, trovo insopportabile l’approccio americano alla promozione dei prodotti, in cui tutti si devono per forza mostrare “superexcited” per le mirabolanti novità e cercano di stuzzicare l’interesse di ogni singolo potenziale compratore senza dare dettagli concreti a nessuno. Ho guardato il teaser, da cui si può dedurre tutto e il contrario di tutto.

Ora, delle edizioni di D&D più recenti non mi interessa quasi nulla. Dopo aver giocato alla 3.5 per dieci anni, ho saltato a piè pari la 4, ho leggiucchiato la 5. Non sento la necessità di un’altra edizione, nè mi allettano particolarmente i meravigliosi strumenti digitali promessi dai Maghi della Costa (cioè Hasbro), che peraltro mi stanno un po’ sulle balle, come tutte queste megacorporations senz’anima che eseguono reset periodici di prodotti che vanno già bene così, solo per indurre i ragazzini ingenui e i vecchi collezionisti onanisti a ricomprarsi tutto il catalogo: GW, Marvel, ma anche i produttori di automobili, l’industria del cinema e un milione di altri ladri legalizzati. Tutta gente che ci considera bestiame da mungere e forse hanno anche ragione.

L’idea è questa… boh

Un po’ delle chiacchiere a vanvera presenti nel teaser però mi hanno stimolato alcune riflessioni. Innanzitutto l’idea di considerare D&D un prodotto ormai ben collaudato e non bisognoso di una vera e propria nuova edizione non è malvagia. Bisogna vedere se terranno fede a questa promessa (secondo me no), però il principio è vero. Si può limitarsi ad aggiungere roba a un sistema che è piuttosto robusto, invece di eseguire un reset totale.

Ma io andrei oltre. Mi spingo a dire che ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che D&D è sempre stato “One D&D”. E’ un gioco che nasce flessibile, modulare, cangiante sin dalla sua prima edizione. Niente è mai stato scolpito nella pietra e i creatori del gioco non ne hanno mai fatto un mistero. I Master erano addirittura incoraggiati a crearsi la propria versione delle regole, aggiungendo house rules, eliminando regole sgradite, cambiando le procedure. Persino l’iconico dado a venti facce era tutt’altro che immutabile. Dave Arneson ammise che quando non avevano un d20 usavano 3d6 e nessuno si stracciava le vesti. E poi c’è la celeberrima frase attribuita a Gygax secondo cui “i dadi si tirano solo perché fanno un bel rumore”. Con il progredire delle edizioni si crearono distinguo e spaccature del tutto artificiose, ma non credo di dire un’eresia se sostengo che ci sono in circolazione alcune centinaia di migliaia di versioni di D&D, solo una decina delle quali sono state pubblicate. Ogni gruppo ha regole della casa, ogni Master aggiunge qualcosa o toglie qualcosa dalle regole. D&D sta in piedi lo stesso, perché alla fine della fiera le regole di D&D non sono quelle che si leggono sui manuali. Sono quelle che si apprendono per emulazione, provando a giocare e vedendo come giocano gli altri. D&D è un particolare tipo di contratto sociale, un atteggiamento, un genere, una creative agenda, prima che un set di regole. Ecco perché, al di là del marchio, se stai giocando a Pathfinder stai giocando a D&D; se giochi a un gioco OSR stai giocando a D&D; sei ti fai il tuo gioco personale che comprende classi, tiri per colpire e tiri per fare danno, ambientazione fantasy, distribuzione tradizionale dell’autorità narrativa, stai giocando a D&D.

In quest’ottica sanno di stantio le discussioni sui poteri della classe del ranger o sulla possibilità o meno che i mostri ottengano un critico e sanno di falso le operazioni di restyling di classi e incantesimi. Stiamo giocando tutti allo stesso gioco da almeno quarant’anni, non facciamoci gabbare da chi ci vuole vendere un’edizione specifica solo perché sono trascorsi dieci anni dalla precedente. Giochiamo pure a D&D, una versione pubblicata o una cotta in casa, oppure spostiamoci nel fertile territorio dei giochi nuovi, intendendo per “nuovi” quelli con meccaniche nuove e concetti rivoluzionari. Ma il prossimo che mi parla di bilanciamento delle classi si becca un d20 in un occhio.

Keep gaming.

Solo GDR – Ironsworn


Ironsworn rappresenta attualmente un unicum nel panorama ludico contemporaneo. Non sono a conoscenza di altri prodotti paragonabili ad esso a livello di struttura e concept. In pratica è un GDR che può essere giocato in modalità solitaria, cooperativa masterless o “guidata”, cioè con i tradizionali giocatori e un master.

E’ un gioco basato su meccaniche simili a quelle dei giochi “powered by the apocalypse”, vale a dire Apocalypse World, Dungeon World e una pletora di altri giochi derivati. Questa non è la sede per enumerare i pregi dei giochi “powered by the apocalypse”, ma è opportuno dire che rappresentano un modo nuovo di approcciarsi al gioco di ruolo. Favoriscono molto due elementi moderni del gioco di ruolo, cioè il “fail forward” e la creazione incrementale dell’ambientazione (o almeno di parte di essa), dando autorità narrativa limitata ai giocatori.

Ironsworn fa tesoro di questa lezione e ne amplia gli orizzonti. L’intuizione geniale a mio parere è aver capito che le meccaniche dei powered by the apocalypse sono adatte al gioco in solitaria o comunque masterless. Non è necessario predeterminare la difficoltà delle varie azioni svolte dai personaggi, ma sono le stesse “mosse” effettuate dai giocatori che hanno come esito una gamma di situazioni che muovono la trama in avanti, senza limitarsi al binomio successo-insuccesso, che fa affidamento sul master per determinare cosa succeda in concreto nel caso di insuccesso.

Ironsworn prende questo sistema e ci innesta sopra una serie di “oracoli” (che ormai sappiamo tutti essere il motore preferito dei giochi in solitaria). Il tutto in un’ambientazione selvaggia, di frontiera, che può essere personalizzata prima del gioco e raffinata successivamente con il dipanarsi della storia.

Il mio primo impatto con Ironsworn è stato freddino. Ho scoperto che esisteva un gioco nuovo, liberamente scaricabile. Sono andato sul sito ironswornrpg.com e l’ho frainteso completamente. Mi sembrava il classico gioco di ruolo fantasy fatto in casa, con molte velleità ma poca sostanza, e per di più con regole troppo complicate. In più, le illustrazioni sono fotografie di stock che danno al manuale un tono amatoriale che di più non si può. Abbandonato quasi all’istante.

Ma bisogna sapere quando è ora di ammettere i propri errori. E con Ironsworn ho sbagliato alla grande. Alla grandissima. Perché questo è proprio un gran bel giochino, ragassuoli. Ed è molto innovativo, probabilmente ha già iniziato a fare la storia. C’è in cantiere un porting fantascientifico e nel mondo del solo GDR se ne parla in continuazione. Esiste anche un’espansione chiamata “Delve” che completa le regole permettendo l’esplorazione (e prima ancora la generazione casuale) di “dungeon” di varia natura.

Il fatto è che quando ti metti di buzzo buono e fai la fatica di assimilare le regole, ti si spalanca un mondo, perché sistema di gioco, oracoli, generatore di nomi, tabelle ecc. sono tutti elementi integrati perfettamente per svolgere un unico compito: portare avanti la narrazione. Qui non si parla di spade +1 o oggetti magici eclatanti, non si ragiona di ingombro e velocità di movimento tattico, di turni e round, e nemmeno di blocchi di statistiche degli avversari. C’è una narrazione che, una volta acquisiti i rudimenti del sistema, fluisce ininterrottamente costruendo una storia epica senza sforzo. Con il binomio “GDR tradizionale + Mythic” sento sempre che mi manca qualcosa, che devo metterci tanto di mio per far funzionare la narrazione, e anche così ho sempre la sensazione che sto “barando”, che mi sto raccontando una storia come se fossi il Master iper-indulgente di me stesso. Con Ironsworn non ho questa sensazione. Ho piuttosto la sensazione di essere nelle mani capaci e salde di un Master incorporeo, che mi presenta sfide e ricompense (o guai) con suprema imparzialità e straordinaria creatività.

Le regole non sono facili, sebbene il sistema di risoluzione delle azioni (o meglio delle “mosse”) sia molto semplice. MA cosa ci sta a fare qui il vostro affezionato Pennymaster, se non per indicarvi la retta via? Eccovi quindi il modo migliore con cui è possibile acquisire il regolamento e contemporaneamente avere davvero un quadro di cosa può arrivare a offrirti questo gioco, ed è quello di guardare la seconda stagione di “Me, myself and die“.

In questo show su youtube, un voice actor molto brillante di nome Trevor Devall gioca un’intera campagna in solitario utilizzando Ironsworn come sistema di gioco. Il risultato è divertentissimo. E’ una specie di Matt Mercer del gioco solitario. Vi verrà voglia di giocare ad Ironsworn prima di subito. Ahimè, l’intera esperienza (gioco e show) è solo per anglofoni abbastanza navigati, ma non si può avere tutto dalla vita, giusto?

Provate, mi ringrazierete.

Keep gaming.

Solo GDR – Mythic + Numenera


Possiedo Numenera da quando è uscito in italiano, acquistato a Lucca con tanto di autografo di Monte Cook. Il sistema Cypher mi è piaciuto da subito, per la sua semplicità e flessibilità, ma non sono mai riuscito a organizzare una campagna di Numenera con il mio gruppo di gioco abituale, perché c’era sempre qualcos’altro da fare. Inoltre devo ammettere che ero frenato dal fatto di conoscere i gusti dei miei giocatori, i quali sono a loro agio solo con il Fantasy “classico” e con l’horror. Numenera è un’ambientazione che ha un senso solo per chi ha un retroterra culturale ricco di opere al limite tra fantasy e fantascienza, o almeno opere ispirate al vecchio adagio secondo cui ogni tecnologia sufficientemente progredita è indistinguibile dalla magia. Le atmosfere sono modellate su libri come Cloud Atlas, nella parte in cui descrive la società di un futuro lontanissimo, oppure il capolavoro di Gene Wolfe, il ciclo di Urth del Nuovo Sole. Le influenze non si fermano qui, ma quelle citate rappresentano il minimo sindacale. Chiunque non abbia questo tipo di infarinatura trova difficoltà quasi insormontabili nel cogliere l’atmosfera che permea l’ambientazione. Per questi motivi ho sempre dubitato della mia capacità di convogliare questa atmosfera ai miei giocatori, che dal canto loro si sono sempre mostrati freddini sul versante fantascienza (anche quando si avvicina al fantasy).

Morale della favola: Numenera parcheggiato sine die.

Durante il lockdown ho tentato una sessione online, contando di poter compensare la carenza di un bagaglio visuale comune con illustrazioni mostrate a schermo ed effetti sonori. Avevo persino iniziato a ritrarre i personaggi. Ecco per esempio il PG di Mescal, un Tech itinerante, scassato e impolverato alla Mad Max, con tanto di braccio meccanico di bellezza.

Continua a leggere

Solo GDR – Mythic GM Emulator


Eccomi qui a scrivere di Mythic, il nonno e il più famoso degli emulatori di GM Master. Mythic GM Emulator si basa sull’assunto che sia possibile simulare la presenza di un Master creando l’avventura in maniera incrementale, tramite due strumenti:

  1. un “oracolo” che risponde a domande formulate in modo da dare come risposta un sì o un no.
  2. la scomposizione dell’avventura in “scene”, impostate usando l’oracolo di cui sopra e una tabella che associa verbi e sostantivi in maniera casuale per generare idee. Tali idee, contestualizzate dal giocatore, possono dettare qualsiasi cosa: dal carattere di un PNG alle sue motivazioni, alla natura di un pericolo, alla caratteristica principale di un incontro ecc.

Non voglio addentrarmi nella minuziosa descrizione di come funzioni il sistema nei dettagli, perché finirei per riprodurre il manuale, che dà molti consigli utili su come usare le meccaniche di cui sopra.

Prima di sperimentare Mythic ho provato a guardare qualche video su youtube, dove alcuni giocatori condividono la loro esperienza di gioco giocato oppure mostrano la sessione di gioco nella sua interezza. Devo dire che soltanto allora ho cominciato a capire le potenzialità e le possibili difficoltà di utilizzo di questo emulatore.

Le potenzialità sono immense. E’ incredibile quanto lontano si possa andare con delle semplici domande a cui l’oracolo risponde con sì, no, eccezionalmente sì ed eccezionalmente no. La probabilità che esca il risultato “sì” dipende da due fattori: la generica probabilità stabilita dal giocatore (“è probabile che dall’altra parte della porta ci sia un mostro”) e il fattore di caos, che parte da un valore intermedio di 5 e si alza e si abbassa a seconda di quanto il personaggio abbia il controllo della situazione nella scena precedente. Per esempio, se mi trovo in un dungeon infestato da non morti e ne ho già affrontati alcuni, posso giudicare che sia “molto probabile” che dall’altra parte della porta ci sia un non morto. Se poi sono scampato per il rotto della cuffia da un incontro difficile e sono ferito (fattore caos +1, cioè poniamo che sia giunto a 6), la probabilità che dall’altra parte della porta ci sia un non morto è del 90%. Se viceversa mi trovo in un villaggio di contadini, sto per entrare in una locanda da cui sento provenire canzoni e chiacchiere, posso chiedermi “c’è un non morto dall’altra parte”, ma ragionevolmente la probabilità di questo evento è “impossibile”, per cui con un fattore di caos di 5, dietro alla porta della locanda potrebbe esserci un non morto solo con un tiro di 1-5 su un d100. Ovvio che se poi c’è davvero, devo inventarmi una giustificazione plausibile e la cosa è una specie di gioco nel gioco.

Continua a leggere

Il gioco di ruolo in solitario


All’inizio, nella mia ignoranza, credevo che “gioco di ruolo carta e penna in solitario” fosse una sorta di contraddizione di termini. Non sono mai stato esposto al gdr solitario che non fosse un gioco per computer, per cui ho sempre pensato che l’esperienza del gioco di ruolo, quella “vera”, potesse definirsi tale solo se condivisa con altri. Ma a quanto pare mi sbagliavo, dato che in questo periodo di pandemia i giocatori di ruolo in solitaria sono usciti (metaforicamente) dalle loro caverne oscure e si sono palesati e sono tantissimi. Non più nerd dei nerd, talmente alienati da rifuggire anche il contatto ruolistico con altri della propria specie. Non più reietti che vivono in un limbo onanistico di sogni a occhi aperti e tiri di dado in solitaria. Non più aspiranti narratori senza un pubblico, ma con tanta voglia di calarsi nei panni di qualcun altro. Nossignore, niente di tutto questo. I giocatori di ruolo solitari hanno fatto outing e hanno proclamato al mondo “Io ci sono! gioco di ruolo in solitaria dai tempi di Gygax e me ne vanto! Siete voi che non sapete che non serve un master e neanche degli altri giocatori per divertirsi con Dungeons & Dragons, ma io l’ho sempre saputo!

IO ! (musica epica)

SONO !! (stringe l’inquadratura)

QUI !!!! (esplode musica epica a tutto volume)

e niente, poi sono tornati nella caverna a giocare ed è finita lì.

Però tutti gli altri, come me, sono rimasti a bocca aperta. Ma davvero si può giocare in solitaria? Con quali regole? Ma sarà poi divertente? He Man indossava davvero mutande di pelo?

Da bravo curioso, propenso a dedicarmi anima e corpo a questioni irrilevanti e un tantino troppo intenso nelle mie passioni, ho deciso di approfondire. E accidenti, ho sollevato una pietra e ci ho trovato sotto un tram.

Il gioco “di dungeon”

La storia inizia nientepopodimeno che dal venerabile Gary Gygax, che Odino l’abbia in gloria per il servigio che ha reso all’umanità. Nel primo numero di “The Strategic Review” (1975) pubblica un articolo intitolato “Solo Dungeon Adventures” in cui illustra un metodo per giocare da soli senza Master a Dungeons & Dragons. Ovviamente, provenendo da Zio Gary, è un delirio di tabelle e tiri di dado. Però i principi ci sono, sono già sufficientemente maturi e giocabili, con qualche difficoltà dovuta soprattutto al fatto che ai tempi le regole non erano fatte per essere capite da tutti, ma sembravano solo appunti personali comprensibili solo da altri pochi iniziati.

Il gioco di ruolo “di dungeon”, cioè quello dei primordi, in realtà si presta molto bene al gioco in solitaria. In fondo all’epoca era considerato accettabile giocare alla maniera e.u.m.a.t.e. (entra, uccidi il mostro, arraffa il tesoro, esci) senza troppo peso alla coerenza interna del dungeon. C’era senza dubbio un tema portante in ciascuna avventura, ma non c’era un plot preordinato, o peggio ancora un binario forzato che sviluppasse a tutti i costi una storia epica. Non essendoci l’esigenza forte di avere una giustificazione narrativa cogente per tutto quello che facevano i personaggi, era più facile demandare il ruolo di Master a un bot, che in questo caso sono una serie di tabelle di generazione casuale di stanze, mostri e tesori. In effetti, a mio parere, togliendo l’interazione con altri giocatori si toglie molto al divertimento complessivo. Quante situazioni divertenti si formano spontaneamente solo perché il più svitato del gruppo ha un’idea folle e la persegue coinvolgendo tutti nelle nefaste conseguenze della sua scelta? Quante serate sono diventate memorabili perché i giocatori hanno cominciato a cavalcare un tormentone generato per caso disinteressandosi della storia e sparando cavolate a ruota libera? Ecco, certamente tutto questo non lo troverete nel gioco in solitaria. Ci sono però alcuni aspetti che possono rendere il gioco in solitaria “di dungeon” molto divertente, addirittura superiore al gioco cooperativo. Intanto non sta scritto da nessuna parte che si debba per forza interpretare un solo personaggio. Si può gestire un intero party di avventurieri, ciascuno con le sue caratteristiche peculiari, proprio come si fa con un gioco di ruolo per PC. Avendo a disposizione diversi personaggi, non ci si identifica con uno solo, ma si può esplorare la loro interazione reciproca. Se ci si sente portati per i background e la maturazione personale dei personaggi, questa potrebbe essere un’occasione d’oro. Quante volte avete avuto un’idea fantastica per un personaggio, con un passato interessante e un profilo davvero originale, per sentirvi dire dal Master che quel personaggio non si adattava bene alla campagna che aveva in mente lui? Oppure avete creato un burbero nano, e non vedevate l’ora di interpretare le schermaglie tra lui e l’elfo del gruppo, alla maniera di Gimli e Legolas, solo per scoprire che l’amico che interpreta l’elfo se ne frega del ruolo e vuole solo picchiare e fare powerplaying? E magari si scorda che interpreta l’elfo, perché aveva scelto quella razza solo per avere dei bonus alle statistiche?

Nel gioco di ruolo in solitaria tu sei il master e sei il giocatore, puoi davvero fare quello che vuoi. Questo non è un vantaggio da poco. Puoi immaginare ogni tipo di interazione, dalla più coinvolgente alla più spigolosa, tra i personaggi controllati da te, e puoi seguirne l’evoluzione personale come dei piccoli Tamagochi che si muovono attraverso dungeon sempre più letali. Se invece vuoi il powerplaying, puoi cercare un’esperienza picchia e spacca alla “Diablo”, il cui unico scopo è di abbattere orde di nemici e massimizzare il proprio potere ed equipaggiamento.

Questo tipo di gioco può essere divertente, soprattutto se supportato da meccaniche dedicate. Le ultime evoluzioni in questo senso sono degne di nota. Un primo gioco che mi sento di consigliare per rompere il ghiaccio, una sorta di “entry level” del gdr solitario, è il carinissimo “Four against darkness” di Andrea Sfiligoi (Ganesha Games). Il giocatore governa quattro personaggi, appartenenti alle classi tipiche del Dungeons & Dragons, attraverso dungeon che possono essere generati casualmente tramite tiri di dado oppure preparati in precedenza. Le regole sono estremamente snelle, per permettere la gestione contemporanea di quattro personaggi senza troppi problemi. Dopo le prime partite, l’esperienza di gioco fila liscia come l’olio e ci si comincia ad affezionare ai personaggi. Si genera anche una storia che emerge spontaneamente, anche se va detto che gli strumenti che supportano questi risvolti risultano un po’ poco sviluppati. Un’aggiustatina alle tabelle per indurre più spesso i personaggi a tornare sui propri passi per completare delle quest secondarie basterebbe per rendere il dungeon un’esperienza meno lineare e all’apparenza meno casuale. Il gioco però è molto divertente e anche le avventure pubblicate lo espandono e lo completano molto bene.

Un altro gioco interessante, che propone un approccio un po’ diverso, è “d100 Dungeon”. Qui l’eroe è uno solo, proprio in stile Diablo. E come il celeberrimo gioco per PC, l’eroe abbatte senza pietà orde di mostri e c’è un forte accento sull’equipaggiamento. Il miglioramento della statistiche è molto lento e tutto sommato di importanza limitata. Quello che conta è procurarsi in qualunque modo pezzi di armatura e armi magiche con cui diventare ancora più potente e corazzato. L’attività di book keeping da parte del giocatore è più intensa rispetto a Four Against Darkness, ma se vi piacciono i gdr di azione per pc probabilmente vi piacerà anche d100 Dungeon. Unico appunto: è maledettamente difficile. Terminati i tutorial, dovresti sceglierti le missioni casualmente. Risultato: prima quest, prima stanza, primo mostro: un drago dorato.

Più che Diablo mi ricorda Dark Souls.

Questi due giochi possono essere un buon ingresso nel mondo del gioco di ruolo di dungeon in solitaria, ma non esauriscono affatto le possibilità offerte da questa modalità di gioco. Anzi, secondo alcuni giocatori solitari della prima ora, non è nemmeno qualificabile come gdr solitario vero e proprio. Siamo nella zona grigia che separa il gioco di ruolo dal gioco da tavolo. E’ un po’ il dibattito (sterile) tra chi sostiene che un libro game sia propriamente un gioco di ruolo e chi non la vede così. Personalmente, ho finito per considerare gioco di ruolo tutto ciò che mi faccia prendere il controllo di un personaggio che agisce in un mondo virtuale, mi faccia compiere delle scelte e in qualche modo mi consenta di vivere una storia per interposta persona. Una definizione molto ampia, che mi consente di includere giochi come Baldur’s Gate, Diablo e Dragon Age e, tanto per tornare nel gioco carta e penna, i sopra citati Four Against Darkness e D100 Dungeon, nonché i libri game (ebbene sì).

Esiste una pletora di giochi di ruolo espressamente pensati per essere giocati in solitaria e di solito hanno meccaniche dedicate che facilitano questo tipo di esperienza, tuttavia nella modalità che ho chiamato “di dungeon” i migliori finora sono quelli già citati. Ne sto provando un po’ e l’intenzione è quella di recensire i più interessanti.

Tuttavia vorrei concentrarmi di più sulla possibilità e le tecniche per giocare qualsiasi gioco di ruolo in solitaria (sempre limitandomi, per ora, alla “modalità dungeon”), e non soltanto un gioco dedicato, che poi è quello che sostengono i giocatori solitari duri e puri. Se l’esperimento avrà successo, procederò a sondare le possibilità del gioco in solitario anche di altri giochi senza limitarmi alla generazione casuale di dungeon vecchia scuola. Cthulhu in solitaria? Coriolis in solitaria? Numenera in solitaria? Perché no? Forse non mi porterà al lato oscuro del gioco solitario hardcore, ma potrei provare un sacco di sistemi di gioco che stanno lì a prendere polvere. Oppure potrei generare al volo ambientazioni e luoghi da far poi utilizzare ai miei giocatori quando ci ritroviamo per il gioco tradizionale.

Accetto volentieri suggerimenti da chi abbia già provato un po’ questo tipo di esperienza.

Keep gaming.

Monster makeover – Grimlock


Questa puntata di Monster Makeover è dedicata ai Grimlock, una razza di umanoidi che vivono sottoterra, completamente ciechi. In realtà non si tratta di un vero e proprio makeover, nel senso che le statistiche del mostro non saranno toccate. Ho scelto il grimlock perché mi dà modo di ragionare su un aspetto dei mostri nei GDR fantasy, o meglio su un modo di presentarli che a mio avviso toglie mordente anche ai mostri più interessanti. Il grimlock di per sè non è un mostro scialbo, ma è presentato in maniera stereotipata e piatta nei manuali, spesso corredati di illustrazioni non proprio all’altezza della situazione. Il risultato è che nessuno lo usa. Qualcuno ha mai usato il grimlock nelle sue campagne? Ecco, appunto. Se devi popolare una caverna il più delle volte vai sul sicuro e ci schiaffi dentro i soliti goblin o coboldi (al primo livello) per poi muoversi verso creature più letali ai livelli inferiori.

Leggendo la descrizione del grimlock nel Manuale dei Mostri di D&D 3.5, scopriamo che i grimlock sono umanoidi con una pelle grigia, scagliosa, e orbite prive di occhi, che vivono nelle profondità della terra ed escono in superficie per catturare schiavi e depredare. Apprendiamo che amano mangiare carne fresca e cruda, preferibilmente umana.

Messa così, a me sembra molto promettente. Perché? Perché io mi immagino questo:

o questo:

ma di sicuro non questo:

e neanche questo:

Non voglio dire che siano illustrazioni brutte, anche se il primo mi ricorda Gargamella e il secondo uno dei Twisted Sisters. Voglio dire che molti mostri hanno descrizioni che danno adito a immagini mentali vivide e paurose, ma una volta “visti” sulla carta perdono intensità. Il Solitario di Providence ha più volte sottolineato che la paura più grande è la paura dell’ignoto. Mostri che vivono al buio, sottoterra, devono avere una connotazione aliena e orrorifica, non possono essere trattati come “normali” avversari da affrontare spada in pugno con lo stesso spirito con cui si affronta una battaglia in campo aperto. Finché è possibile, non vanno mostrati. Devono essere preceduti da inquietanti segni della loro presenza, intravisti con la coda dell’occhio, percepiti nell’oscurità totale prima che sentiti. E non vanno mai, MAI nominati. Descrivere un orrore indicibile alto come un palazzo, con testa da calamaro e ali membranose, che nuota verso di voi sollevando onde gigantesche fa paura, chiamarlo Cthulhu lo addomestica, anche solo un po’. Siamo d’accordo che D&D non è un gioco horror, ma un minimo di atmosfera è necessario crearla, soprattutto con mostri con un potenziale come il grimlock.

Quindi il makeover questa volta non è propriamente rivolto al mostro, ma al modo in cui lo si presenta ai giocatori. Accidenti, a ben vedere persino il verme-iena, che in D&D è una difficoltà minore, quasi comica per personaggi di livello alto, se inserito in una campagna di Mondo di Tenebra, potrebbe essere presentato in modo da far strizzare le chiappe a chiunque.

E qui mi sento di dare un consiglio agli amici Master che non abbiano già questa buona pratica: non nominate mai i mostri ai giocatori. Siamo d’accordo: un goblin è un goblin, ma se è così famigliare non dovreste neppure inserirlo nelle avventure. Ma tutti gli altri, specialmente quelli poco usati, devono rimanere il più possibile ignoti ai giocatori. Non mostrate la loro illustrazione, nemmeno se è bellissima, e non date loro un nome. Prima o poi, a battaglia finita, un giocatore vi chiederà: “Cos’era?” Resistete alla tentazione di dirlo! Se proprio la situazione lo richiede, per esempio se il personaggio è uno studioso di mostri e vuole fare una prova per vedere se riconosce la creatura, potete concedergli la prova e se la prova riesce inventate una descrizione, aggiungete dettagli e possibilmente due o tre nomi alternativi. Per esempio:

“Sembra un Nano, ma questa grottesca caricatura non potrebbe essere definito Nano nemmeno dal più fantasioso degli artisti visionari. Ha la pelle grigio-azzurra, è piccolo, contorto, tozzo, ha una smorfia malvagia sulla faccia e strane cicatrici rituali, probabilmente autoinflitte, sulle braccia e sul collo. Gli occhi privi di pupilla, lattiginosi, sono spalancati nel rictus della morte ma conservano un’espressione malevola. Hai già sentito parlare di queste creature, ma credevi che esistessero solo nelle favole fatte per spaventare i bambini. Vengono detti I Folli, o i Nani dell’Abisso, o anche solo I Maledetti”

è molto più efficace di:

“E’ un Derro.”

Tra l’altro, quando riutilizzerete la stessa descrizione, i giocatori più svegli assumeranno l’espressione luminosa e partecipativa di chi ha riconosciuto la creatura e magari proromperanno in uno spontaneo “li abbiamo già incontrati, quella volta là nelle gallerie sotto Undermountain!” e vi assicuro che, da Master, io VIVO per questi rari momenti. Viceversa, se la volta prima avete dato loro un nome, l’atteggiamento sarà quello del deja vu, della sufficienza. Ah, sì, quei cosi là.

Provate, notate la differenza. Keep gaming.

Monster makeover: il grick


grickQuesto vermone, se viene preso e giocato così com’è, non è altro che questo: un vermone. Con i tentacoli, ok, quindi cento punti in più nel figometro glieli possiamo anche dare, ma non abbastanza da farne un mostro interessante. In pratica si nasconde nelle ombre o nei crepacci, appena vede una preda la attacca, appena la uccide se la trascina via.

Intanto bisogna notare che di solito i PG vanno in giro in gruppo, quindi la tattica standard del grick non funziona. Non può colpire e fuggire con una singola preda, perché rimarrebbe troppo esposto agli attacchi degli altri avventurieri. Una creatura che si sia evoluta come predatore attacca prede multiple solo in due occasioni:

  1. quando conta sul fatto che le prede fuggiranno in tutte le direzioni, lasciando il malcapitato a morire (è la tattica dei leoni)
  2. quando, trattandosi di prede potenzialmente pericolose in gruppo, la strategia del predatore è in grado di isolarle efficacemente (è la tattica del drago di komodo, che ti morde e aspetta che crepi di setticemia, oppure del coccodrillo, che aggredisce una preda e la trascina sott’acqua, di fatto rendendo impossibile agli altri membri del gruppo di accorrere in soccorso)

Il grick, invece, sembrerebbe un po’ tonto: attacca un gruppo di prede pericolose e si concentra su una sola senza avere una strategia per evitare rappresaglie.

Inoltre è scialbo: alla fine i tentacoli sono lì solo per bellezza (si fa per dire), perché gli attacchi sono portati anche con il becco senza distinguere le funzioni dei due tipi di attacco. L’illustrazione del Monster Manual della 3.5 poi non gli rende giustizia neanche un po’.

Grick

Sembra un hippie che si aggira per una festa: notate la retroilluminazione, che oltre a contrastare con la strategia furtiva del grick, e fa sembrare che il grick stia entrando in una stanza in penombra mentre proviene da un luogo più illuminato… pare quasi di udire le note attutite di una canzone dei Doors che arrivano dalla festa dietro di lui, mentre il freak entra nella stanza dei fattoni in cerca di qualche acido.

Diamo un po’ di pepe a questo pupazzo tristissimo.

Ipotesi 1: il predatore furtivo (evolved)

Il grick è una mostruosità predatrice solitaria che vive nelle caverne naturali. Non nei dungeon comodi comodi, e neanche nelle caverne di fantasia partorite dalla mente ingenua di un nerd negli anni Settanta, cioè spaziose, aerate, con il pavimento piatto e ampi corridoi tra una e l’altra. No, il grick si nasconde nelle caverne VERE, quelle umide, anguste, sporche, claustrofobiche. Nei buchi neri della terra, orizzontali, verticali, obliqui. Nelle fenditure dove uno speleologo passa a malapena, strisciando nella ghiaia fradicia mentre cerca di illuminare il prossimo metro o giù di lì. A un certo punto, invece che un muro di tenebre, compare una bocca spalancata ampia quanto il passaggio stesso, e un fascio di tentacoli afferra la vittima e l’attira a sè, stracciandole le vesti, trascinandola sulle rocce aguzze, inghiottendone la parte superiore e tranciando di netto la parte inferiore con quel becco chitinoso. Il grick ghigliottina. Vallo a prendere, se riesci.

Questa variante non richiede grandi modifiche alle statistiche, per non dire nessuna modifica. Per renderlo letale è sufficiente dotarlo della capacità di afferrare la preda con i tentacoli (dipende molto dalle regole che usate, ma un talento come Afferrare Migliorato può aiutare) e di un attacco con il morso un po’ più potente della media. Lasciate stare la riduzione del danno per i danni non magici, è spazzatura ingiustificata.

Ipotesi 2: non mi hai fatto niente, faccia di serpente

Il grick è leggermente più piccolo di come è descritto, però salta. Normalmente vive attaccando topi e scoiattoli e se li mangia in un boccone. Quando deve riprodursi, attua la strategia dell’abbraccio facciale alla Alien (fattore di coolness aumentato di 1000 punti). Salta in faccia, si aggancia con i tentacoli e avvolge il corpo nelle sue spire, bloccando la preda. Poi facciamo che penetra con un tentacolo centrale e inocula l’ospite nel povero cristo. Il tentacolo contiene un anestetico e un sistema per condividere la respirazione della creatura, per tenere in vita la vittima. Possiamo dare un numero di round, tipo quattro, in cui è possibile cercare di ucciderlo dall’esterno prima che… ehm… eiaculi?! Però:

  1. La parte esterna della sua pelle è gommosa e refrattaria ai colpi (Classe di Armatura alta? Cicatrizzazione istantanea? Vedete voi)
  2. Ogni colpo e ogni tentativo di rimuovere la creatura la fa stringere ancor di più, con danno da stritolamento alla vittima (2d6, 3d8, 4d6… il sadismo non ha limiti, perfino riprodurre interamente nella vittima il danno subito dalla creatura)

Dopo aver insediato la prole, la creatura rilascia la vittima e muore da sola. Dopo qualche giorno di fame impossibile, il malcapitato si squarcia dall’interno e uno o più saltellanti mini-grick fuggono tra le ombre.

Ipotesi 3: eutanasia

Il grick se la prende comoda. Striscia pigro verso una preda addormentata e la tocca con i tentacoli, che contengono un veleno che ha lo stesso effetto di una pera di eroina. La vittima continua a dormire e sperimenta sogni piacevoli. Se si sveglia, si rende conto solo vagamente di quello che sta succedendo. Il verme che le striscia addosso è percepito come un’esperienza erotica, e l’unico desiderio è annullarsi nel piacere. Non sente l’acido secreto dai tentacoli che si fa strada nella pelle, e anche se lo vede non gliene importa un fico secco.

Se la creatura viene uccisa o rimossa in qualche modo, l’effetto svanisce dopo un certo numero di round, lasciando una orribile bruciatura sulla pelle che è stata a contatto con la creatura e molta rabbia nei confronti dei compagni che ti hanno salvato. Ma la cosa più interessante è l’astinenza… tiri salvezza sempre più difficili da superare, per evitare che la vittima corra spasmodicamente a cercare ancora la stessa esperienza, e muoia in estasi mentre un intero covo di grick la digerisce viva.

Piaciute le varianti?

Datemi un tentacolo e vi solleverò il mondo.

Keep gaming.

Monster makeover – Orsogufo


Dungeons&Dragons è una miniera di mostri assurdi e bizzarri. Se si leggono tutti i manuali dei mostri di tutte le edizioni si ha la sensazione sgradevole di aver visto tutto. Ma proprio tutto. La maggior parte è spazzatura, diciamocelo. Robaccia inutilizzabile, oppure talmente sciocca che la sua esistenza può essere giustificata solo in una campagna parodistica e goliardica. Oppure risponde al paradigma del “pupazzone”, di cui ho già parlato in altri post. In pratica: prendi un essere normale, tipo una tartaruga. Lo rendi gigante. Lo rendi kattivo. Gli dai caratteristiche minori che sottolineino la sua alienità, tipo strani cornini viola che escono dalla testa, o occhi rosso sangue. Gli dai 485 punti ferita, 6 attacchi per round a +24, CA 32, varie immunità et voilà! Un pupazzone.

Per fortuna molti mostri non rientrano in questo cliché. I mind flayer e i beholder sono esempi eccellenti di come si possa creare un ottimo antagonista senza per forza fare un pupazzone. I draghi all’inizio mi sembravano fichissimi, ora mi fanno un po’ un effetto meh. Più che altro tendo a non inserirli quasi mai. Da giovani sono pippe incredibili, da anziani sono indistruttibili. Come giustifico la presenza di un predatore avido e brutale che pesa 700 tonnellate e sputa fuoco e vive a venti chilometri da un insediamento di umani? Chi sarebbe così pazzo da stare entro mille chilometri da questa mostruosità? Quindi alla fine spesso rinuncio al drago, e il mio gioco potrebbe tranquillamente chiamarsi Dungeons&Dungeons, visto che di Dragons se ne vedono pochini. A dire il vero il mio gioco si chiama Dungeon Hack, per cui c’è una certa coerenza in questo.

Comunque…

Esistono i primi della classe (Beholder, Mind flayer, Orchi, Lich e non morti vari), esistono le cenerentole (Flumph, Coboldi, e per quanto mi riguarda Kuo toa). E in mezzo c’è una pletora di mostri né brutti né belli, semplicemente insignificanti o tutti uguali tra loro. Il mio esercizio preferito nella creazione della campagna corrente è di prendere una di queste grigie comparse e provare a cambiarla per renderla non dico interessante, ma almeno utilizzabile. Più il materiale di partenza è scrauso, più mi stimola.

Facciamo un paio di esempi con uno dei miei mostri (non)preferiti.

owlbearOrsogufo. Fondamentalmente è un orso. Con la testa di gufo. Fa cose che fanno gli orsi, tipo girare e attaccare la gente. Probabilmente quando ti stacca la testa con una zampata si sgallina un po’ come l’Arcagnolo Gabriello (riferimento a un film “misterioso”, chi se lo ricorda?), lasciando in giro qualche piuma, ma niente più di così. Un tantino deboluccio come concetto, non trovate?

Qui di seguito riporto alcuni esperimenti genetici su questo mostro per renderlo ALMENO distinguibile da un semplice orso, espressi nella maniera in cui da bambini lasciavamo andare la fantasia e creavamo le premesse per il gioco che stavamo per incominciare, vale a dire all’imperfetto e con il massimo sense of wonder:

“Facciamo che la metà superiore si poteva staccare da quella sotto. Che quando andava in giro era lentissimo, ma la parte sotto aveva l’apparato digerente, mentre quella sopra no. Quindi la parte sotto stava ferma da qualche parte mentre quella sopra volava via a cercare cibo. Poi si ricollegava alla parte sotto e digeriva il cibo raccolto.”

Un gufo gigante con interiora penzolanti plana su di voi nella notte per inghiottire il più possibile e volare faticosamente verso il resto del suo corpo. Tanto è aggressivo quando caccia, quanto è goffo e schivo quando è a pancia piena. Per questo, quando ha individuato una preda o un gruppo di prede, non si ferma finché non le ha uccise tutte. Infatti teme di essere sopraffatto quando, satollo e lento, è più vulnerabile. Quindi prima fa una strage, poi inghiotte tutto quello che può e si dirige verso la sua metà inferiore. Trovare e fare a pezzi la sua parte inferiore è il modo migliore per ucciderlo tra atroci tormenti, poiché quello che ha inghiottito, intrappolato in una sacca ventrale idonea solo al trasporto, marcisce e fermenta senza che lui se ne possa liberare.

Altra possibilità:

“Facciamo che era in grado di svolazzare per brevi tratti, tipo gallina, e che usava questa capacità per piombarti addosso.”

Un orso saltante. Che arriva da sopra gli alberi, partendo da venti o trenta metri più il là.

Come nasce un orsogufo? Diciamo che fa le uova, ma esse non contengono la prole, contengono un potente mutageno che odora di miele. Gli orsi lo mangiano e in tre mesi la metamorfosi è completa. Cosa succede se lo mangia un umano? Mmwahahaha!

Qualche suggerimento per il prossimo monster makeover?

Star Wars gaming – introduzione alla Forza


Il trattamento di un argomento come la Forza risulta spinoso per molti motivi. Nella trilogia originale il concetto di Forza è lasciato giustamente molto vago. La Forza è descritta come un qualcosa che “tiene unita tutta la galassia”, qualunque cosa significhi. Dalle citazioni sparse qua e là nei film sembrerebbe che i Jedi predichino una sorta di panteismo, in cui la Forza è dappertutto (nella pietra, nella nave, negli esseri viventi ecc.). C’è un dualismo che all’apparenza potrebbe sembrare di derivazione taoista ma in realtà secondo me c’entra poco. Il dualismo della Forza è espresso in forma fortemente manicheista, il lato oscuro non è visto come una forza che si contrappone al lato chiaro e genera il dinamismo del reale. Piuttosto è un pozzo nero, a senso unico, e in questo ricorda più la morale giudaico cristiana in cui c’è un dio severo, selettivo, che rappresenta il “giusto” e contrapporsi al suo volere provoca la rovina, è una strada senza ritorno. La trilogia originale sembra adeguarsi a questa visione generale, salvo poi concederci una visione più ottimista in cui la redenzione è possibile, seppure con il sommo sacrificio della vita. La struttura della Forza è accennata, suggestiva, misticheggiante. Fa da contraltare narrativo al pragmatismo di Han Solo e all’arido cinismo degli imperiali.

choke

Si noti che nel primo film c’è una scena bellissima in cui il generale imperiale “scettico” viene strangolato da Darth Vader. Ho sempre considerato quella scena un capolavoro di narrazione. Ci mostra un rappresentante di un’antica fede ormai isolato nelle sue credenze, distante da Obi Wan Kenobi quanto a orientamento morale ma vicino a lui nell’anacronismo che li accomuna. L’imperiale che si fa beffe della Forza (e finisce per ricevere una lezione dall’irritato Vader) è il simbolo di una nuova era, un’era di blaster “goffi ed erratici” e di “terrori tecnologici” che saranno pure niente confronto alla Forza, ma nessuno si accorge di questa inferiorità. Nell’Episodio IV la storia non era ancora consolidata, persino l’Imperatore non era esplicitato. Se uno vedesse solo Episodio IV ne uscirebbe con la convinzione che il potere imperiale è saldamente nelle mani di un imperatore “laico”, non apertamente schierato con vecchie superstizioni, che tuttavia si serve di un braccio violento come Vader che sarà pure terrificante, ma è anche alquanto bizzarro, a causa del suo “deprecabile attaccamento a quell’antica religione”. Storytelling al massimo grado. Il non detto conta più del raccontato, proprio come nelle favole. Continua a leggere