One D&D e le regole della casa


Nel mondo del GDR si è creato un piccolo tsunami di opinioni contrastanti quando Wizards of the Coast ha annunciato il progetto per la prossima edizione di D&D. Che poi non è nemmeno una nuova edizione, a sentire loro. Si tratterebbe di un nuovo modo di intendere D&D, con un regolamento retrocompatibile al 100% con la 5ed e nonsisaquanto% compatibile con le altre edizioni. La novità starebbe nello spostamento dell’accento sugli strumenti digitali di supporto al gioco e nelle revisioni incrementali al regolamento. Quasi a voler scoraggiare la stampa e l’acquisto di nuovi manuali cartacei. Digital delivery anche per il GDR tradizionale? Boh, in realtà siamo ancora nella fase – che io detesto con tutte le mie forze – del bla bla bla del marketing. In particolare, trovo insopportabile l’approccio americano alla promozione dei prodotti, in cui tutti si devono per forza mostrare “superexcited” per le mirabolanti novità e cercano di stuzzicare l’interesse di ogni singolo potenziale compratore senza dare dettagli concreti a nessuno. Ho guardato il teaser, da cui si può dedurre tutto e il contrario di tutto.

Ora, delle edizioni di D&D più recenti non mi interessa quasi nulla. Dopo aver giocato alla 3.5 per dieci anni, ho saltato a piè pari la 4, ho leggiucchiato la 5. Non sento la necessità di un’altra edizione, nè mi allettano particolarmente i meravigliosi strumenti digitali promessi dai Maghi della Costa (cioè Hasbro), che peraltro mi stanno un po’ sulle balle, come tutte queste megacorporations senz’anima che eseguono reset periodici di prodotti che vanno già bene così, solo per indurre i ragazzini ingenui e i vecchi collezionisti onanisti a ricomprarsi tutto il catalogo: GW, Marvel, ma anche i produttori di automobili, l’industria del cinema e un milione di altri ladri legalizzati. Tutta gente che ci considera bestiame da mungere e forse hanno anche ragione.

L’idea è questa… boh

Un po’ delle chiacchiere a vanvera presenti nel teaser però mi hanno stimolato alcune riflessioni. Innanzitutto l’idea di considerare D&D un prodotto ormai ben collaudato e non bisognoso di una vera e propria nuova edizione non è malvagia. Bisogna vedere se terranno fede a questa promessa (secondo me no), però il principio è vero. Si può limitarsi ad aggiungere roba a un sistema che è piuttosto robusto, invece di eseguire un reset totale.

Ma io andrei oltre. Mi spingo a dire che ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che D&D è sempre stato “One D&D”. E’ un gioco che nasce flessibile, modulare, cangiante sin dalla sua prima edizione. Niente è mai stato scolpito nella pietra e i creatori del gioco non ne hanno mai fatto un mistero. I Master erano addirittura incoraggiati a crearsi la propria versione delle regole, aggiungendo house rules, eliminando regole sgradite, cambiando le procedure. Persino l’iconico dado a venti facce era tutt’altro che immutabile. Dave Arneson ammise che quando non avevano un d20 usavano 3d6 e nessuno si stracciava le vesti. E poi c’è la celeberrima frase attribuita a Gygax secondo cui “i dadi si tirano solo perché fanno un bel rumore”. Con il progredire delle edizioni si crearono distinguo e spaccature del tutto artificiose, ma non credo di dire un’eresia se sostengo che ci sono in circolazione alcune centinaia di migliaia di versioni di D&D, solo una decina delle quali sono state pubblicate. Ogni gruppo ha regole della casa, ogni Master aggiunge qualcosa o toglie qualcosa dalle regole. D&D sta in piedi lo stesso, perché alla fine della fiera le regole di D&D non sono quelle che si leggono sui manuali. Sono quelle che si apprendono per emulazione, provando a giocare e vedendo come giocano gli altri. D&D è un particolare tipo di contratto sociale, un atteggiamento, un genere, una creative agenda, prima che un set di regole. Ecco perché, al di là del marchio, se stai giocando a Pathfinder stai giocando a D&D; se giochi a un gioco OSR stai giocando a D&D; sei ti fai il tuo gioco personale che comprende classi, tiri per colpire e tiri per fare danno, ambientazione fantasy, distribuzione tradizionale dell’autorità narrativa, stai giocando a D&D.

In quest’ottica sanno di stantio le discussioni sui poteri della classe del ranger o sulla possibilità o meno che i mostri ottengano un critico e sanno di falso le operazioni di restyling di classi e incantesimi. Stiamo giocando tutti allo stesso gioco da almeno quarant’anni, non facciamoci gabbare da chi ci vuole vendere un’edizione specifica solo perché sono trascorsi dieci anni dalla precedente. Giochiamo pure a D&D, una versione pubblicata o una cotta in casa, oppure spostiamoci nel fertile territorio dei giochi nuovi, intendendo per “nuovi” quelli con meccaniche nuove e concetti rivoluzionari. Ma il prossimo che mi parla di bilanciamento delle classi si becca un d20 in un occhio.

Keep gaming.

Le mie ambientazioni ufficiali di D&D preferite


Chiacchierando del più e del meno nei commenti, Mr Mist ha buttato lì la parola magica “Ravenloft”. E’ stato come aprire una diga, tipo “Ricerca del Tempo Perduto”. Erano anni che non ci pensavo, ma l’ambientazione Ravenloft mi è rimasta nel cuore, nonostante non ci abbia giocato tantissimo, perché è quella che mi ha traghettato dai lidi fracassoni e brancaleoneschi di D&D in salsa Mystara alle atmosfere più evocative del gioco horror. Poi ho scoperto il World of Darkness e sono entrato in brutte compagnie… ma questa è un’altra storia. Mi sono tornati i mente i miei esperimenti dei primi anni di masteraggio, la ricerca incessante di “cose nuove”, l’avida lettura di ambientazioni dalla prima all’ultima pagina per il solo gusto di poterlo fare (beata gioventù: ma prima di avere figli, quando dicevo “non ho tempo” cosa intendevo in realtà?).

Quindi voglio fare un gioco: mettere in ordine di gradimento le ambientazioni ufficiali di D&D a cui sono stato esposto negli anni, stilando la classifica delle mie prime cinque ambientazioni preferite. Ditemi se siete d’accordo con le mie valutazioni, e commentate facendo la vostra personale classifica.

Quinta posizione:

E’ quella con cui ho incominciato. Il Granducato di Karameikos, con la cittadina di La Soglia, è stato il teatro delle nostre avventure per molti anni. Ricordo la meraviglia iniziale: un mondo intero di fantasia, pieno zeppo di cose meravigliose e interessanti. Anche solo per l’effetto nostalgia, Mystara non poteva mancare nelle prime cinque. Anche se…

…gli anni sono stati inclementi con lei. Già durante il gioco, superata la prima fase in cui tutto era bello, emersero alcuni limiti di questo mondo. Innanzitutto il world building di Mystara era palesemente “from bottom to top”, cioè si aggiungevano pezzi man mano che servivano. L’ambientazione Karameikos era una specie di Transivania medievale senza eccessive pretese di coerenza. Un territorio più o meno grande come la Lombardia, di fianco al quale, invece che il Veneto, si trovava un deserto caldo, con tanto di predoni, cammelli e una cultura modellata sull’Arabia. Ti spostavi un po’ et voilà, eccoci nei fiordi di Soderfjord, con vichinghi e clima freddo. Se invece andavi a Nord-Ovest: bam! sbattevi contro un muro di roccia popolato di Nani, e più a sud una megaforesta piena di Elfi. Ma bastava proseguire un po’ più a Ovest ed ecco Glantri, dominato dai maghi. Vuoi i nativi americani? Atruaghin. E che dire delle bizzarre isolette “turistiche” di Ierendi? Un guazzabuglio, preso nel suo complesso. Molto ben fatte e affascinanti le micro-ambientazioni, se prese singolarmente (anche se non tutte: alcune, come la stessa Ierendi, erano bambinesche e troppo infarcite di clichè). Se oggi dovessi ambientare una campagna in Mystara, prenderei un solo modulo della serie “Gazeteer”, quello che mi ispira di più al momento, e lo dilaterei per farne una zona di mondo più ampia, lasciando indefiniti i regni limitrofi e facendo in modo da contenere tutta la campagna nel sandbox così creato.

Quarta posizione:

Qui è dove il mio cuore riposa. Quando parto con la fantasia, finisco sempre nei Reami. E’ vasto, complesso, epico, moderatamente coerente al suo interno, del tutto implausibile in termini assoluti. High magic a livelli da manicomio, personaggi larger than life resi ancor più popolari dalla serie infinita di libri ambientati nei Reami. Ogni pietra ha una storia, ogni rovina ha un background. Forse il suo limite è proprio questo: lo scarso spazio per la personalizzazione unito alla popolarità dell’ambientazione rendono la creazione di una campagna nei Reami un vero percorso a ostacoli per chi ha dei giocatori non di primo pelo. Se un giocatore ti dice “andiamo a Luskan” non puoi certo rispondergli “nella mia versione dei Reami, Luskan non esiste”. C’è, e lui si aspetta di trovarla più o meno dove e come si ricorda dall’ultimo libro-fumetto-videogioco-vattelapesca. Un altro aspetto che può non piacere a tutti è il pantheon sterminato e la tendenza degli dèi a intervenire indirettamente in ogni minutissimo aspetto della vita del mondo. Praticamente ogni cosa che succede ha dietro un culto di qualche divinità minore, che cerca di sopraffare gli Arpisti che a loro volta combattono la chiesa di Cyric, ma intanto Bane è risorto e si è alleato con Velsharoon, mentre prima non si potevano vedere, e intanto il semidio Pdorr, figlio di Kmerr, è asceso alla divinità e “che fine ha fatto Waukeen?” e così via, peggio di Beautiful. Tener traccia di queste trame non è facile. Puoi sempre dare un colpo di spugna, ma parte del fascino dell’ambientazione secondo me sta proprio in questo, quindi…

Un altro problema non nasce dall’ambientazione in sè, ma dal fatto che ogni edizione di D&D ha la sua versione dei Reami. AD&D ambientava il tutto in certo tempo, la 3.5 proseguiva su quella falsariga aggiungendo qualche anno e tenendo conto dei romanzi, nel frattempo divenuti canone. La Quarta Edizione ha inventato un cataclisma di proporzioni mondiali per poter fare un po’ di pulizia delle incrostazioni accumulatesi negli anni, e ha spostato l’azione nel futuro di – mi pare – un centinaio di anni. La Quinta edizione ha preso i Reami come ambientazione di default, mollando definitivamente ogni ormeggio con la poco supportata Greyhawk e apportando altri cambiamenti.

Insomma, Forgotten Realms si becca una quarta posizione e più su non va, anche se la amo.

Terza posizione:

Eh, sì. Qui ci sarebbe da scrivere un tomo di cinquecento pagine. Da dove iniziare? Intanto dal fatto che grazie a Ravenloft ho incominciato a capire che si poteva giocare horror, e che – perdiana – era una vera figata. Poi aggiungerei che all’epoca rappresentava una vera pietra miliare, un cambio di toni molto coraggioso per un mercato legato allo Sword & Sorcery sin dai primordi. E poi ancora (in ordine sparso): atmosfera ineguagliabile, il primo modulo (che diede origine all’intera ambientazione) era e resta tuttora un capolavoro assoluto, costruzione modulare con l’escamotage della “nebbia” per rendere permeabili i confini dei regni ma solo quando conviene, un trucco che fu implementato in maniera sempre più convincente nei vari moduli e finì per diventare il marchio di fabbrica dell’ambientazione. La possibilità di giocare mini-campagne in un’ambientazione a tema con il genere horror che si voleva toccare senza cambiare ogni volta le regole. I Vistani, zingari misteriosi che più clichè di così non si può, ma imprescindibili. L’oggettiva qualità di alcuni moduli. L’accento sulla costruzione dell’atmosfera, con descrizioni ambientali che con il senno di poi erano un po’ barocche e pompose, ma rappresentavano un passo avanti rispetto a quella che all’epoca era l’interazione al tavolo da gioco. Una comunità online viva e dedicata alla causa con una devozione commovente (vi ricordate il sito Secrets of the Kargatane?).

Le note dolenti, per come le ricordo io, erano: inadeguatezza del sistema nel gestire un’azione orientata all’orrore; pesante affidamento su strutture inadatte, mutuate da D&D: gli stessi incantesimi vanciani erano loffissimi in quel contesto; ambientazioni orrorifiche palesemente stridenti con le classi del gioco e il suo generale tono pseudo-medievale: tanto per fare un esempio, nel modulo Ravenloft, Barovia è chiaramente modellata sulla Transilvania di Dracula, e le illustrazioni riprendono l’estetica dei film con Vincent Price, con tanto di organo a canne suonato dalla figura ammantata, mentre il tutto viene gestito con un livello tecnologico medievale. Lo stesso Castel Ravenloft dal punto di vista architettonico era il classico bestione gotico decadente, non un castello trecentesco appena costruito per esigenze puramente belliche.

Nel complesso, una pietra miliare a cui sono affezionato.

Seconda posizione:

Il mio amore e il mio rimpianto. Dark Sun per me è come quelle fidanzatine che hai a quindici anni, di cui ti innamori perdutamente e che dopo tre mesi ti mollano senza aver potuto davvero capire se fosse tutto oro quello che luccicava. Scoperta per caso tramite i romanzi della “Pentalogia del Prisma” (scritti maluccio, peraltro) questa ambientazione mi è rimasta nel cuore, ma non sono mai riuscito a convogliare nei miei giocatori gli stessi sentimenti. Già le premesse, per uno che veniva da Forgotten Realms, erano sconvolgenti: la magia prende forza dalla vita circostante, per cui se ne abusi fai avvizzire e morire tutto quanto intorno a te; molto tempo fa, i re-draghi, maghi potentissimi, hanno devastato il mondo intero guerreggiando tra loro a colpi di magia. Il risultato è un mondo post-atomico, in cui la magia è odiata e temuta, dove poche città stato, rette dai re-draghi, lottano per accaparrarsi le poche risorse rimaste. Niente metallo, o quasi. Niente acqua, o quasi. Niente magia, o quasi. Gli halfling sono dei selvaggi cannibali. Gli elfi sono predoni del deserto. I Nani non hanno la barba e sono calvi. E poi una pletora di creature, un ecosistema completo, nuove razze, comprese delle mantidi senzienti che ricordano i romanzi di Borroughs. Niente dèi! Solo i re-draghi, che conferiscono gli incantesimi ai loro chierici e sono venerati come divinità. E poteri psionici. E le illustrazioni di Brom, capolavori assoluti.

Pazzesco.

Ho imbastito una campagna curando ogni minimo dettaglio, compresi i ritratti dei personaggi a colori. Ho cercato di distillare in ogni scena ogni singolo grammo di coolness di cui era dotata l’ambientazione, ma la campagna è scivolata via senza lasciare tracce, e di Dark Sun non si è parlato più. Peccato.

Prima Posizione:

E’ curioso che la mia ambientazione preferita sia anche quella di cui faccio più fatica a parlare. Dire perché Planescape mi fa impazzire è come cercare di individuare i motivi per cui ami una donna, tanto per rimanere nelle metafore amorose.

Potrei lodare la ardita costruzione cosmologica, completamente fantasy, nel senso che prescinde del tutto dalle nozioni fisiche relative al nostro universo: è davvero un altro universo che obbedisce ad altre leggi e si inserisce su un’ambientazione che già di suo è high fantasy. Potrei tirare in ballo la varietà delirante di mondi paralleli, ciascuno con le sue leggi fisiche e il suo alineamento morale dominante. Potrei citare il sistema delle fazioni, raggruppamenti sociali che hanno come fondamento ciascuno un diverso approccio al multiverso e una diversa spiegazione della sua finalità ultima. Oppure evidenziare le implicazioni simboliche di cui è densa quest’ambientazione. Il gergo bizzarro dei visitatori dei mondi paralleli. La città di Sigil, al centro della Grande Ruota, che ha una forma di toroide cavo e fluttua intorno a un pinnacolo roccioso alla base del quale si trovano i passaggi verso i mondi, e che rappresenta di per sè un’ambientazione completa e iperdettagliata. Non vi basta? Tiè, beccatevi pure le illustrazioni di Di Terlizzi. Ne volete ancora? Siore e siori, mi voglio rovinare: un gioco per pc che enfatizza il ragionamento invece che le botte ed è uno dei migliori rpg per computer che ci sia mai stato.

Probabilmente Planescape merita un post dedicato, una retrospettiva completa su questo prodotto che per me è stato il picco della follia creativa che animava i primi anni Novanta ed è poi implosa nella crisi di mercato da cui si è usciti solo anni dopo, con la licenza d20. E’ comprensibile: dopo Planescape non poteva esserci che il nulla.

Ho giocato molto a Planescape, anche se i miei giocatori non se ne sono mai accorti. Partivamo da mondi conosciuti e io innestavo un collegamento che portava i giocatori a esplorare di volta in volta i vari aspetti della cosmologia di Planescape, con l’escamotage del portale o del viaggio planare. Questa ambientazione è così fusa nell’immaginario collettivo del nostro gruppo di gioco abituale, che tutti sono convinti che non sia un’ambientazione a parte, ma l’ambientazione planare standard di tutte le versioni di D&D. E’ così potente che ci ha fatto cestinare senza pietà la cosmologia standard dei Forgotten Realms, sostituendola totalmente.

Ecco qui. Questa è la mia top five personale. Del tutto soggettiva, umorale, non scientifica e totalmente opinabile. Avanti, dite la vostra.

Il razionalismo e gli horror fatti male


Sono un razionalista. Vivo in un mondo che obbedisce a leggi strettamente deterministiche, ogni causa ha molti effetti, ogni effetto spesso ha molte cause. Non esiste il paranormale, nel senso che tutto ciò che esiste è, per definizione, reale, mentre ciò che non esiste, non esiste. Il che significa che se accade qualcosa che non riesco a spiegarmi, indago. Se non trovo una spiegazione, non ricorro ai fantasmi, agli spiriti, agli omini verdi nè a una qualche divinità non meglio precisata. Semplicemente, sono di fronte a un fenomeno che non sono in grado di spiegare. Non vuol dire che non ci sia una spiegazione, ma solo che io, o per quanto ne so, l’umanità intera, non ha ancora trovato il modo di conoscere il fenomeno e spiegarlo negli unici termini consentiti dalle leggi della fisica.

Può sembrare arido, può sembrare noioso, ma questo è l’atteggiamento scientifico razionalista.

Ora, se guardate un po’ di film e serie tv a tema orrorifico (molto meno nei libri), scoprirete che più o meno in tutti esiste una figura che io chiamo il “razionalista sbagliato”. Chi è costui? E’ quello che va in giro in stato di shock ripetendo come una ottusa macchinetta “ci deve essere una spiegazione razionale per questo”. Incontra un gruppo di alieni ostili che gli sparano addosso. “E’ impossibile”. Una suora defunta da tre secoli lo insegue nei corridoi di un monastero infestato. “Ci deve essere una spiegazione razionale”. Un fantasma giapponese incazzato nero gli si manifesta a un metro dalla faccia e un attimo prima che gli azzanni la giugulare l’imbecille balbetta “E’.. E’.. un incubo… non può essere vero!” e chiude gli occhi e ovviamente muore. Oppure (ed è la peggior specie) minimizza, nicchia, ritarda il momento in cui è ora di passare all’azione, convince tutti che si stanno preoccupando per niente. Un’orda di spiriti vendicativi prende in ostaggio la cittadina americana. “Dottore, cosa dobbiamo fare?” e lui, con il sorrisetto di sufficienza di Piergiorgio Odifreddi: “Niente, è un fenomeno elettrico corredato con isteria di massa”. Inutile dire che la soluzione sarebbe stata l’evacuazione completa e tutti creperanno male.

Comprendo perfettamente l’esigenza narrativa alla base di questo archetipo. L’incredulo è necessario per molti motivi. Innanzitutto fa da contraltare al credulone, anche questo sempre presente nella troupe di sfigati mandati al massacro. Quello che si fa prendere subito dal panico. “Cos’è stato quel rumore?” “MORIREMO TUTTIIIII”

In secondo luogo serve a rafforzare il concetto secondo cui quello che sta succedendo è soprannaturale. E se è soprannaturale, le leggi della fisica non possono spiegarlo. E se è soprannaturale, ci vuole qualcuno che me lo dica che è soprannaturale, perché pensa un po’ che cretino, io credevo che le persone volassero e passassero attraverso le pareti.

Tra l’altro l’incredulo muore sempre, e non vedi l’ora che accada, è per questo che lo fanno così antipatico. Non c’è niente di meglio di un saccente razionalista che viene punito per la sua mancanza di fede, maledetto piantagrane. Invece di accettare immediatamente la premessa assurda su cui si basa la narrazione, ha l’impudenza di non crederci, di mettere in dubbio. Allora muori, preda!

Io non credo che l’incredulo sia un razionalista, credo che sia un personaggio scialbo scritto da autori pigri che vivono di clichè. Un razionalista vero ha un istinto di sopravvivenza forte tanto quanto chiunque altro (anzi, probabilmente è anche ateo quindi per lui la vita finisce quando finisce). Un razionalista vero, contrariamente a un grullo che crede nelle favole, è perfettamente in grado di trarre da premesse ignote o palesemente assurde delle conseguenze logiche. Un fantasma sta devastando la stanza? Non ho idea di cosa sia, ma ha il potere di schiantarmi addosso un comò, quindi lo tratto come una minaccia. Ignota, ma sempre minaccia è. Rumori di stoviglie rotte in cantina? Non ci vado disarmato tanto per far vedere che “non è niente”. Ci vado armato, anche perché pure un tasso può essere pericoloso se si sente in trappola.

Razionalista non significa stupido. Il medico che visita una donna visibilmente incinta di quattro mesi che il giorno prima non lo era e afferma di essere stata visitata nella notte dal marito morto COME MINIMO richiede analisi mediche approfondite, non una scrollata di spalle e un assurdo “è sotto shock e la gravidanza è isterica”.

Che poi anche nella realtà esistono individui che passano per razionalisti e scienziati e in realtà sono la versione reale dell’incredulo dei film horror. Quando un pilota di un boeing 747 mi dice che un oggetto non identificato volava di fianco al suo velivolo sono portato a crederci e ad approfondire, se non altro perché lui è addestrato e – si spera – psicologicamente stabile, e ha tutto da perdere a rivelare certe esperienze. Quindi, forse, dice la verità. Se non trovo una spiegazione il fatto resta non spiegato. Non scomodo gli omini verdi, ma non faccio neppure come Margherita Hack che si limitava a dire “l’è un pallone aerostatiho”. See, come no. Se non ha una spiegazione, lo scienziato lo ammette, non cerca di raffazzonarne una palesemente inadeguata perché “niente deve rimanere non spiegato”. Nel medioevo l’elettricità era magia, ma non è che non esistesse. Si verificava raramente e apparentemente a caso, e nessuno ci capiva niente. Ma c’era, e non era soprannaturale.

Ma sto divagando.

Sono stufo di personaggi piatti, tutti uguali e stupidi come i sassi del fiume. E’ così difficile creare il contrasto tra la normalità quotidiana e il fatto inspiegabile senza ricorrere all’abusata figura dell’incredulo? Non sarebbe forse meglio descrivere la situazione di partenza con dettagli ricchi, per immergere lo spettatore, e poi far succedere quello che succede senza tirar fuori dal cilindro l’odioso e spocchioso “finto-razionalista” che avvia tutti al disastro perché nega l’evidenza? Per carità, a me piace il genere horror ma riconosco che è un genere di nicchia, in cui il vero appassionato si presta ad ingurgitare ettolitri di fango pur di scovare quella scena perfetta, quel brivido ben fatto, quell’atmosfera rarefatta ed evocativa, e poco importa che il resto del film sia spazzatura. Però forse ci si potrebbe aspettare qualcosa di più al giorno d’oggi, o no?

Star Wars gaming – la fase 2


Ovvero: ma ‘sta quarantena finisce o no?

Avere un gioco nel cassetto, pronto da testare, e non poterlo fare perché si deve mantenere la distanza sociale è una mezza tortura. Avrei potuto provarlo tramite i mezzi tecnologici su cui abbiamo ripiegato da un paio di mesi a questa parte, ma un beta testing è una cosa seria, perdinci e poffarbacco! Ho deciso di rimandare. Però la voglia di trovarci tutti intorno a un tavolo come ai “vecchi tempi” c’è ed è forte.

Divagando un po’… non vorrei finire come quel gruppo di vecchietti che aveva deciso di eludere il lockdown e si trovavano nel bosco per giocare a carte.

Li hanno beccati per le urla e le bestemmie. Per comprendere appieno il casino che dovevano fare quei topi da osteria è necessario avere presente la conformazione del territorio dalle mie parti. Sembra la fottuta Colombia. Questo è ciò che vedo dalla mia finestra:

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Ma ve li immaginate? “CALA ‘STO SETTEBELLO, RIMBAMBI’! (…mbì  …mbì …mbì”)

Tra un po’ finiremo così anche noi drogati di gdr, e tra le Alpi echeggerà un misterioso richiamo:

“INIZIATIVA!” (…iva! … iva! …iva!)

Per quanto possibile, keep gaming.

‘A quarantena, m’hai provocato?


… e io te distruggo, quarantena. Parafrasando il mitico Albertone in “Un americano a Roma”.

E così alla fine ci siamo dati al digitale, obtorto collo, e per ora non è così malvagio. Sospesa la prova del sistema casalingo Star Wars, sospesa la campagna Dungeon Hack ambientata nei Forgotten Realms, sospese le sessioni sporadiche a Mondo di Tenebra, resta una gran voglia di giocare, una voglia che i giochi di ruolo per PC non riescono nemmeno lontanamente a calmare. Che facciamo? Dopo qualche incertezza iniziale noi ci siamo organizzati così:

  1. Una sessione a settimana a un gioco che sarebbe pensato per il solitario, ma va bene anche cooperativo, e si chiama Four Against Darkness, del geniale Andrea Sfiligoi. Per chi non lo conosce, si tratta di un generatore casuale di dungeon da affrontare con quattro personaggi appartenenti alle tipiche classi del gioco di ruolo più famoso coverdel mondo. Le regole sono semplicissime e il gioco riesce a ricreare le atmosfere dei primordi dell’hobby in una maniera incredibile. Il fatto che tutto venga gestito tramite tabelle non deve far pensare a un sistema macchinoso, anzi! Una volta acquisite le regole, tutto scorre fluido e rapido. Abbiamo deciso di provare questo sistema proprio perché è un ibrido tra un gioco di ruolo e un gioco da tavolo, almeno come spirito. Per condividere il dungeon disegnato in tempo reale dal sottoscritto abbiamo provato Roll20, uno dei tabletop virtuali in circolazione. E’ abbastanza intuitivo e funziona abbastanza bene (tranne la chat, che è un po’ instabile, ma forse è colpa del sovraccarico). L’esperimento è riuscito, ci stiamo divertendo e rispolveriamo un po’ quella semplicità di gioco che fa tanto old school. Date un’occhiata a Four Against Darkness: costa una stupidata, è divertente, si può fare da soli o in compagnia, ci sono avventure pubblicate, espansioni, illustrazioni sghembe in stile Erol Otus (ma invece sono in stile Sfiligoi)… insomma, ‘na figata.
  2. Abbiamo ripreso in mano il Cypher System, proseguendo una campagna iniziata quasi due anni fa e arenatasi senza un motivo particolare, a parte la mia incapacità come Master di gestire più di tre giochi di ruolo alla volta. Si tratta di uno spin-off di the-strange-corebook-2014-05-27una campagna di The Strange, ma in sostanza il regolamento è quasi uguale. Si chiama Soviet Zed, ed è un mix di The Strange e dell’ambientazione “Soviet” per Sine Requie. In pratica Soviet Zed è una ricorsione di The Strange: un 1958 alternativo in cui i non morti camminano sulla Terra sin dal giorno dello sbarco in Normandia, con… lievissimi effetti sulla struttura sociale complessiva. Per chi non conosce The Strange: una ricorsione è un piccolo mondo, una mini-ambientazione, in cui i personaggi arrivano “contestualizzati”, cioè adatti a quel mondo e a quel dato livello tecnologico, mantenendo intatta la coscienza di esploratori delle dimensioni alternative. E’ sufficientemente stramba da conquistarmi e molto, molto, molto distopica. Cioè, a confronto il manuale originale di “Soviet” (che già non scherza) è una favoletta per bambini. Sto proprio sfogando i miei istinti più bassi, ma sembra che i giocatori apprezzino.

Staremo a vedere cosa ci riserverà il futuro, ma mi pare che il gioco di ruolo sia un ottimo modo per conservare la sanità mentale in questa situazione paradossale in cui ci ha precipitati il virus.

Per cui, ora come non mai, keep gaming.

Mostri di D&D che non mi piacciono


alligatorCi sono un sacco di mostri di D&D che considero stupidi, brutti, inutilizzabili, troppo potenti, troppo poco potenti, o addirittura ridicoli. C’è però una categoria che non sopporto, e magari qualche psicologo tra i miei lettori ci sarà e mi potrà dare indicazioni sul perché abbia così in odio tale categoria. Ci sarà di certo una ragione inconscia, che con tutta probabilità ha origine in un trauma infantile, magari legato al sesso, così tutti i clichè sono stati soddisfatti e siam tutti più tranquilli.

O forse sono proprio mostri di merda.

Sto parlando dei mix che io definisco “innesti”: uomo con testa di animale, animale con testa di uomo. Rakshasa: umanoide con testa di tigre. Yuan ti: umanoide con coda di serpente. Sirena: donna con coda di pesce. Centauro: cavallo con innestata la parte superiore del corpo di un umanoide. Nella categoria non sono compresi gli umanoidi mostruosi, tipo gli uomini lucertola. Di uomo non hanno niente, a parte il nome, sono a tutti gli effetti delle lucertole bipedi e un po’ intelligenti. E’ l’innesto che mi disturba. Mi suona come un modo sciatto, pigro, di costruire una creatura fantastica.

I più attenti obbietteranno: “Proprio tu parli, tu che adori il mind flayer, che non è altro che un umanoide con la testa di calamaro!” Sbagliato. Intanto il mind flayer ha tentacoli in faccia, ma non è un calamaro nè un umanoide con la testa di calamaro. Poi c’è una gerarchia nei principi che regolano la mia nerditudine, e il principio “i mix uomo-animale sono mostri loffissimi” è di gran lunga inferiore al principio “everything is better with tentacles”. Quindi non mi ammorbate, rivendico il mio diritto all’incoerenza mascherata da cavillosi distinguo. E bom. Continua a leggere

Tomb of Horrors e Zeitgeist


TombCoverIeri sera, dopo mesi di astinenza da dungeon (per alcuni di noi, anni) siamo riusciti a giocare con il numero esorbitante di cinque giocatori più Master, e fino all’ultimo momento abbiamo rischiato di essere in sette, roba d’altri tempi.

Come d’altri tempi è stato il modulo giocato: Tomb of Horrors (la versione originale del 1975, convertita facilmente al nostro sistema casalingo Dungeon Hack). Ragazzi, che massacro. Tre ore di gioco, sei PG morti per le cause più svariate, un totale di sole sei stanze esplorate.  Di solito il nostro gruppo gioca campagne in stile eroico, narrativo, post-Drangonlance. Questa volta invece abbiamo fatto qualcosa di insolito, un esperimento sociale-ruolistico, ai limiti dell’archeologia del gioco di ruolo. Giochiamo alla maniera degli anni Settanta! Seeee!!! Ma come si giocava negli anni Settanta? Come dei maledetti duri, ecco come. L’abbiamo provato ieri sera. Questa esperienza ci ha aperto gli occhi. A noi, che non siamo proprio di primo pelo.

Abbiamo usato personaggi pregenerati, del tutto spendibili, a cui non eravamo affezionati, e ogni morte era occasione di grasse risate. Ma se penso di giocare un modulo killer come questo usando un personaggio che ha raggiunto un certo livello, con decine di sessioni alle spalle e magari anni di gioco e perfezionamento meticoloso, mi vengono i brividi. Perché qui, ragazzi, si muore. Si muore per niente. Si muore per una botola, per un crollo, per un ago avvelenato. Si muore perché si finisce in una trappola. Allora si cerca di evitare un’altra trappola che sembra uguale… e si finisce in una trappola diversa, che ovviamente era stata messa lì prevedendo i ragionamenti machiavellici dei personaggi. You die…

Sembra che un buon combattimento in cui far brillare i guerrieri non arrivi mai, ed ecco che invece arriva. Solo che arriva a sorpresa, dopo che i personaggi sono stati sfiancati da trappole, teletrasporti e false piste. Il modulo raccomanda al Master di non indirizzare i personaggi in nessun modo, di lasciare che siano loro a fare le proprie scelte, e di non aver paura di punirli senza pietà se fanno sciocchezze. E pure se non ne fanno.

Ci sono perle come:

If the doors are opened, the roof of the tunnel will collapse and inflict 5-50 (5d10) hit points of damage upon each character inside of it, with no saving throw“.

Avete capito bene. No saving throw.

A me, come sempre, viene da ragionare anche troppo su significati, su parallelismi reconditi tra realtà diverse. Al giorno d’oggi sarebbe inaccettabile una trappola che non consente un tiro salvezza. Basta dare un’occhiata allo stesso modulo in versione 3.5, edulcorata al punto da snaturarla del tutto. Per non parlare dell’ultimissima revisione per la 5.0. Probabile che sia dovuto al fatto che, nel gioco come nel mondo, i tempi sono cambiati. Ci siamo rammolliti. Il gioco deve essere “bilanciato”, altrimenti viene etichettato come un prodotto mal fatto, un videogame deve essere avvincente ma mai punitivo (anche se ci sono eccezioni), e deve sempre contenere un tutorial che renda superflua la lettura del manuale, ma poi chi lo legge più un manuale? Vi ricordate i manuali dei videogiochi di vent’anni fa? Ora le regole dei giochi di ruolo devono essere semplificate, possono esserci addizioni ma non sottrazioni, perché si sa che le sottrazioni sono più difficili (non sto scherzando, è un vero consiglio di un moderno game designer). Ora i giochi devono prenderti per mano, non frustrarti, ma soprattutto devono essere essere comprensibili anche a un somaro. Che ovviamente non esiste più nemmeno lui, esistono diverse velocità di apprendimento, con libri scolastici modulati a seconda dell’acronimo usato per definire ogni particolare disturbo dell’apprendimento inventato solo per non dover dire ai genitori che il figlio è: indisciplinato, irrequieto, disobbediente, aggressivo, distratto, lento di comprendonio, pigro… parole che fanno paura, come tutte le parole che hanno un significato ben preciso. Roba da far rimpiangere il falso ma naif “suo figlio è intelligente ma non si impegna”. Cambia la società, e il mondo dei giochi, specchio del mondo reale, si adegua.

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Eh eh eh…

Per esempio, il modulo diceva espressamente:

The real enjoyment of this module is managing to cope, and those players who manage to do so even semi-successfully will appreciate your refereeing property and allowing them to “live or die” on their own.

Dubito che sottoporre questo modulo a un gruppo di “Generation Z” che per pura ventura hanno scoperto il gioco di ruolo carta & penna avrebbe lo stesso effetto avvincente ed esilarante che ha avuto su di noi grognardi. Non esiste più il semi-successo soddisfacente perché conquistato con fatica, esiste il “tutto e subito, perché io valgo”. E’ un atteggiamento che si riscontra anche in ambiti molto più seri del gioco di ruolo e probabilmente è più dannoso là che qua, ma io ci vedo delle similitudini.

Oggi il gioco, come la scuola, il lavoro e tutto il resto, deve essere costellato di micro successi motivanti, è scomparso il concetto di sacrificio seguito dalla ricompensa. Niente più bastone e carota, solo micro-carotine sparse in mezzo non a bastonate, ma a carezze vissute come sberle da una generazione di persone che forse ha vissuto un po’ troppo nella bambagia.

Ci sto vedendo dentro troppe cose. Però è davvero istruttivo vedere come il nerd anni Settanta, pur nel suo essere ai margini sociali, fosse comunque più strutturato e resiliente rispetto agli standard odierni, più voglioso di sfide difficili, più disposto a divertirsi nonostante il fallimento (e forse GRAZIE al fallimento). Il gioco non faceva sconti, e nessuno si aspettava che ne facesse, come del resto la vita. Forse c’è un insegnamento in questo.

Keep gaming.

Il dungeon, il pc al tavolo e altre cose


temple-of-elemental-evil-wallpaper-5La scorsa settimana abbiamo affrontato il primo livello del Tempio del Male Elementale. Credo che sia andata bene, i giocatori mi sembravano soddisfatti (ma forse non hanno voluto infierire sul Master provato da una preparazione di quattro mesi che neanche negli anni Settanta c’era). Per la prima volta dopo tanto tempo ho provato l’ansia da prestazione. Come già scritto in un altro post, cavare qualcosa da questa mostruosità gygaxiana non è stato facile. Però ho imparato un bel po’ di cose. Alla fine sono riuscito a destreggiarmi – credo – abbastanza bene, anche grazie a qualche trucchetto che voglio condividere con chi sia interessato a ripetere un’operazione simile.

  1. griglia e miniature. Un sacco di miniature. Una vagonata di miniature. E tutte dipinte, perché le cose o le fai bene o non le fai proprio. Un dungeon crawl che si rispetti richiede un posizionamento preciso. E’ vero che si può fare a meno delle miniature, ma vuoi mettere la faccia dei giocatori quando tiri fuori un ogre e lo piazzi lì proprio mentre stanno facendo fatica a sopravvivere a un attacco di bugbear capitanati da un demone torturatore rigenerante di livello 7? E poi è troppo bello dipingerle. Mi piace talmente tanto che appena posso ridipingo le miniature ufficiali di D&D pre-dipinte, per valorizzarle meglio.
  2. personalizzazione. Ho trovato impossibile memorizzare certi incontri senza averli modificati almeno un po’. Un bugbear acquisisce un nome, un prigioniero un volto, un semplice carceriere diventa un demone torturatore ecc. (vedi sopra). Così è più facile ricordare il contenuto delle stanze perché invece di limitarmi a memorizzare qualcosa di confezionato da altri ho contribuito a crearlo io.
  3. megamappa personale. Ricopiare su un foglio a3 l’intera mappa del primo livello e inserire noticine riassuntive del contenuto dei luoghi principali è un lavoraccio, ma è l’unico modo che ho trovato per avere in mente i vari collegamenti tra stanze. E a proposito di collegamenti, ho provveduto a verificare gli accessi agli altri livelli e ho scoperto che – forse – c’è una contraddizione nella mappa. Qualcosa come una scala che scende da due distinte stanze ma arriva in un punto solo. Un’impossibilità architettonica per la quale il geometra del gruppo si straccerebbe le vesti. Non approfondisco per non fare spoiler, ma se qualcuno è curioso richieda delucidazioni nei commenti e lo contatterò personalmente.
  4. mappa a video scoperta gradualmente. E così abbiamo sistemato la cosa più pallosa del dungeoneering vecchia scuola: la mappatura del dungeon. Avete presente quando chiedi: “chi fa il cartografo?” e cala un silenzio innaturale? Sguardi furtivi, occhi bassi, tipo interrogazione a sorpresa di filosofia. Non se ne poteva più, nemmeno nei “five room dungeons” che sono sempre stati la nostra dimensione standard. Per superare l’imbarazzo ho utilizzato il programma online pixlr. Ho aggiunto un livello nero alla mappa originale e, man mano che i giocatori esploravano stanze e corridoi, cancellavano la “fog of war”. Alla fine della serata il risultato era questo:

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Di questo passo ci metteremo dieci anni, ma sarà bellissimo.

Una soluzione di una banalità sconcertante, ma questa è stata la novità più apprezzata dai giocatori e anche da me, dato che in questo modo non ho dovuto enunciare ogni volta le dimensioni delle stanze e l’orientamento dei corridoi. Che poi mi son sempre chiesto: com’è che si considera la lunghezza di un corridoio? Se nella mappa ci sono dieci quadretti da 1,5 m il corridoio è lungo 15 m, ok… ma se alla fine del corridoio c’è un angolo di novanta gradi, devo aggiungere il quadretto dell’angolo? O non è compreso nel corridoio? Boh. Comunque ci siamo lasciati tutto alle spalle, siamo entrati nell’era del computer, che per dei grognard di mezza età è un grande passo. Scherzo, nel gruppo ci sono dei nerdoloni che mangiano le barre di RAM come fossero Mars, e ci sono ben 10 persone che capiscono la numerazione binaria: io e Mescal…

Sheldon+Cooper+sheldon
Sheldon l’ha capita, ma ci tiene a rimarcare il fatto che è una battuta vecchia.

Mi sembra che la campagna stia prendendo una bella piega e di ciò sono contento. Che sia riuscito a sconfiggere il Tempio del Male Elementale? E’ presto per dirlo, ma sono cautamente ottimista.

Keep gaming.

The Strange e il Master rilassato


the-strange-corebook-2014-05-27Dopo qualche sessioncina di prova e un lungo periodo di pausa, ho ripreso in mano il Cypher System, nella sua incarnazione “The Strange”, e ho masterizzato una sessione della campagna “La Spirale Oscura”. E mi sono divertito proprio tanto. Combattere con un modulo come Il Tempio del Male Elementale e poi spararsi una giocata a The Strange è come leggere Guerra e Pace e poi un qualsiasi romanzo di Stephen King. Praticamente il romanzo di King si legge da solo. E l’impressione che mi dà questo gioco è che si masterizzi da solo.

Già la scelta di non far mai tirare i dadi al Master è alquanto azzeccata, dato che ti puoi concentrare sulla narrazione e sull’invenzione di dettagli interessanti o “intromissioni” bastarde. In più, il sistema di risoluzione delle prove è intuitivo e rapido, e per creare un “mostro” o un antagonista è sufficiente dargli un livello e immaginarselo, senza ulteriori statistiche o complicazioni non necessarie.

La sessione scorre via liscia come l’olio e la struttura del gioco favorisce la fantasia più sfrenata a livello di ambientazione. Tanto che viene da chiedersi come sarebbe creare una ricorsione in stile Lovecraft “purista”, tanto per rimanere in tema con la ricerca che sto svolgendo. Oppure convertire in ricorsione una qualunque ambientazione bizzarra pensata per altri giochi.

E poi ho una simpatia particolare per Monte Cook. Mi piace il suo modo di creare giochi innovativi quel tanto che basta da renderli interessanti e moderni, ma non tanto strambi da renderli ingiocabili.

Sono curioso di testare questo The Strange sulla lunga distanza.

Qualcuno l’ha già provato e vuole condividere le sue impressioni?