Maze Rats


Il mio rapporto con il dungeon è sempre stato conflittuale. Da un lato è il tipo di gioco con cui ho iniziato e ci sono affezionato. Dall’altro è noioso da preparare e soffre molto di vecchiaia. Ogni tanto leggo un regolamento “old school renaissance” e mi faccio prendere dall’entusiasmo, ma di solito la cosa si sgonfia presto. Forse sono io ad essere troppo vecchio per queste cose, o forse sono i retrocloni che somigliano ai loro progenitori anche nei difetti.

Ogni tanto però scopro la perla nel fango. Questa volta la perla è Maze Rats, di Ben Milton. Qualcuno forse lo conosce già per il suo canale Youtube, Questing Beast, in cui parla diffusamente di old school gaming e in particolare recensisce manuali e avventure orientate a questo stile di gioco. Ben Milton però è anche un ottimo autore e lo dimostra, tra l’altro, con questo Maze Rats.

Il gioco sta comodamente in poche pagine. Ha un layout orizzontale che può piacere oppure no. A me non fa impazzire, ma poco male, perché esiste anche una versione in formato opuscolo. Su Drivethrurpg si può acquistare il pdf per 4,99 dollari.

Che cos’è Maze Rats? Un gioco di dungeon, sicuramente, ma in generale un gioco old school. C’è una pagina dedicata alla creazione dei dungeon tradizionali, ma ce ne sono anche una dedicata alla creazione di avventure in città e una alle avventure nella natura selvaggia. Una pagina sola per ciascuno di questi argomenti? Sì, perché dire che Maze Rats è un regolamento denso non rende giustizia alla mole di informazioni che l’autore è riuscito a compattare in dodici pagine. Per la maggior parte sono tutte tabelle, organizzate in 36 voci ciascuna. Si può generare casualmente ogni cosa, a partire dall’aspetto e dal carattere del personaggio fino agli ambienti dei dungeon per arrivare alle ricompense per gli avventurieri. E’ talmente ben fatto che ogni master che si rispetti dovrebbe avere una copia di Maze Rats sempre con sè, anche se gioca a D&D o a qualsiasi altro gioco fantasy, perché il manuale è una vera miniera di idee e aiuta a generare al volo la maggior parte delle informazioni che potrebbe essere necessario improvvisare in una sessione di gioco.

Il sistema è semplicissimo: ci sono tre caratteristiche, espresse tramite bonus: Forza, Destrezza e Volontà. C’è un valore di armatura (6 + bonus derivanti da scudo e corazza) che bisogna superare con 2d6 per colpire l’avversario. Il danno è la differenza tra il tiro e l’armatura. I punti ferita iniziali sono 4, e già lì capisci un sacco di cose. Ci sono al massimo sette livelli e, se si vuole, un incantesimo al giorno, e col passare dei livelli non è che le cose migliorino molto. A parte il combattimento, non si fanno prove attive, ma solo difensive: ogni volta che si deve evitare di subire una conseguenza negativa di qualsiasi genere, il master impone un tiro difensivo (di forza, destrezza o volontà): 2d6 più eventuali bonus, se si ottiene 8 o più, si supera la prova, se no MUORI, PREDA! Essenziale, nessuna concessione al successo facile: può essere carino, ma niente di speciale. Cosa rende Maze Rats degno di essere giocato?

Innanzitutto il sistema magico: puro divertimento. Ogni giorno si “crea” un incantesimo diverso: si tirano gli effetti su un paio di tabelle e ti può venir fuori qualcosa come “Ice Monolith” o “Intoxicating Sphere”. Sta al giocatore, con la guida del Master, di riempire di significato questa espressione, inventando le applicazioni possibili dell’incantesimo e possibilmente, al momento del lancio, forzando la mano alle linee guida imposte dal Master, dando così prova di machiavellica attitudine a usare in maniera impropria un incantesimo apparentemente inutile.

In secondo luogo, il gioco riprende e valorizza un elemento della vecchia scuola molto importante: la creatività del giocatore. Il gioco è ridicolmente difficile se affrontato in maniera “picchia e spacca” alla D&D post-terza-edizione. Al contrario, l’essenza di Maze Rats dovrebbe essere di prepararsi con anticipo, essere cauti, prendersi tutti i vantaggi possibili, evitare del tutto il combattimento (quando si può), parlamentare con i mostri, fuggire senza vergogna se le cose si mettono male. Insomma: usare la testa.

Non è per tutti: se non vi fidate del vostro Master, evitate. Se non avete un Master creativo, che sa improvvisare, che apprezza le buone idee in barba alle statistiche, che premia gli audaci ma non gli stupidi, evitate. Se avete un Master che gioca contro di voi, evitate. In tutti gli altri casi, è consigliatissimo.

Apprendo adesso che è in cantiere una versione 2, attualmente in kickstarter.

Viste le premesse e vista la presenza di tutto quel ben di Odino di tabelle, ho provato Maze Rats in solitario e ho scoperto che è molto adatto a questa modalità di gioco. Esiste anche un supplemento chiamato Maze Rat, scaricabile gratuitamente da drivethrurpg, che contiene gli oracoli e qualche consiglio per giocare da soli. In realtà va benissimo anche un emulatore generico tipo Mythic. Per chi vuole provare le atmosfere vecchia scuola con un regolamento ultra-light molto originale, Maze Rats è davvero ottimo. Forse non è adatto a esperienze orientate all’azione esasperata, perché gli antagonisti vanno generati tramite tabelle e non c’è un vero e proprio bestiario, e perché non c’è modo di pompare il proprio personaggio abbastanza da farlo sopravvivere a molti incontri consecutivi. Qui si muore male e si muore spesso, è un gioco per chi assapora con calma le atmosfere, riflette, fa strategia per ottenere quel vantaggio in più sul prossimo tiro di dado che fa la differenza tra la vita e la morte e, soprattutto se giocato in solitaria, permette di apprezzare l’interazione pacifica con i PNG generati casualmente dalle tabelle, perché questi PNG hanno la tendenza a essere molto interessanti.

Un giochino con enormi potenzialità, provatelo e poi ditemi.

Keep gaming.

Recensione di Five Torches Deep


Sono un amante della vecchia scuola, per il semplice motivo che per me non è vecchia. E’ la mia scuola. C’è il modo in cui ho iniziato e ci sono i modi nuovi: ecco, la cosiddetta vecchia scuola è il modo in cui ho iniziato.

I PG muoiono come mosche, i background non si inventano fino a quando non ti sei affezionato abbastanza al personaggio, lo scopo è di ammassare tesori e non di salvare il mondo, i dungeon esistono e di solito c’è dentro un drago. Che devi ammazzare.

Insomma, è un po’ una semplificazione, ma ci siamo capiti. Quando cominci con la scatola rossa non hai troppe speranze di liberarti di un certo modo di vedere il GDR. Certo, poi si aggiungono nuovi giochi, si cambia mentalità, si provano cose nuove. Però la nostalgia, si sa, è canaglia e quando scoppia la moda dell’OSR tu ti guardi allo specchio e dici: “Evvai, sono tornato mainstream! Godiamocela finché dura”.

Five Torches Deep è scritto da Ben Dutter e Jessica Dutter ed è edito da Sigil Stone Publishing. Su DriveThruRPG è possibile acquistarlo in formato cartaceo + pdf a 20,00 $ più qualcosa per le spese di spedizione, oppure solo pdf a 10 $. Consiglio la carta, se non altro perché la stampa in casa finirebbe per uccidervi le cartucce, dato che è pieno di illustrazioni a colori. Non è una stampa di qualità eccelsa, è pari a una stampa casalinga su una laser a colori, eccetto che per la copertina, che fa una bella figura.

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Lovecraft e i GDR – parte quinta


Questo post doveva trattare di Lovecraftesque, ma, mentre mi accingevo a procurarmi il pdf di questo gioco, in barba al fatto che praticamente ogni recensione che ho letto ne parli maluccio, mi sono imbattuto in qualcosa che ha calamitato la mia attenzione. E ha calamitato la mia attenzione per il solo fatto di chiamarsi “The Cthulhu Hack“. Capitemi, sono da sempre un appassionato di NetHack, il celebre “roguelike” (se non lo conoscete, convertitevi e scaricatelo subito, infedeli!). Ho chiamato il mio sistema di GDR casalingo “Dungeon Hack” e in generale ho ammirazione per chiunque si cimenti in accrocchi improbabili ma funzionali (“hacks”, appunto). Vado su Drivethrurpg e vedo “The Cthulhu Hack”. Mio, senza passare dal via.

Siccome nella mia infinita presunzione ritengo che questo gioco sia sconosciuto ai più, farò eccezione alla regola che mi ero imposto, cioè di non scrivere vere e proprie recensioni, limitando i miei commenti alla possibilità di riprodurre con i vari giochi un’esperienza il più possibile vicina, per struttura e atmosfere, ai racconti di Lovecraft. In questo caso l’articolo somiglierà di più a una recensione, almeno nella prima parte.

Il Manuale

Il manuale base è costituito da 44 pagine formato a4 scritte grandi e impaginate a larghi spazi, ma il regolamento vero e proprio arriva solo fino a pagina 31. Più in là c’è un’avventura di prova. Un regolamento così, un nerd degli anni settanta se lo ciuccia in otto minuti, che diventano quattro se si considera che le caratteristiche dei personaggi sono le buone, vecchie sei caratteristiche del D&D. Curva di apprendimento piatta. Ma attenzione, vale la pena di leggere con calma perché le similitudini con il dangione e il dragone si fermano qui e si rischia di giocare in modo sbagliato, finendo per spararsi un D&D in salsa Lovecraft laddove invece si aveva per le mani un sistema di gioco originale e brillante. Non esiste artwork, a parte i disegni in scala di grigio a inizio capitolo, che sono belli come Platinette (con o senza trucco, fate voi). In compenso la copertina è bella, e ve la riproduco qui sotto:

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Ahhh, il Grande Cthulhu che torreggia su un peschereccio… queste immagini sono come le canzoni degli AC/DC: tutte uguali, ma ne vorresti sempre di più.

Torniamo a noi. Il sistema di gioco è un adattamento di The Black Hack, che è un sistema OSR sotto licenza Open, che potete trovare (in italiano, yahoooo!) qui:

https://the-black-hack.jehaisleprintemps.net/italian/

Il personaggio è definito dalle solite sei caratteristiche, generate con 3d6 in sequenza, con possibilità soltanto di scambiare due caratteristiche tra loro. Brutale, mi piace.

Le caratteristiche sono chiamate Saves, perché entrano in gioco ogni qual volta il personaggio debba evitare un effetto negativo. Si tira 1d20 e si deve stare sotto la propria caratteristica più pertinente. In pratica è lo stesso sistema di Call of Cthulhu applicato al d20, con una “grana” più grossa: immaginate un CoC giocato con meno Abilità, arrotondate sempre al 5%.

Esistono poi le Resources, cioè tutto ciò che viene in rilievo quando è il personaggio a volersi attivare per ottenere un effetto. Le Resources si dividono in Supplies, Sanity e Investigation (che a sua volta si divide in Smokes e Flashlights). Supplies sono gli equipaggiamenti, tutto ciò che un personaggio può voler utilizzare nelle sue avventure: proiettili, libri, attrezzi, automobili… qualsiasi cosa. Qui c’è la prima particolarità del sistema: gli equipaggiamenti (e il loro utilizzo) sono astratti, nel senso che il giocatore annuncia ciò che vuole fare e il Master può richiedere un tiro di equipaggiamento. In tal caso l’equipaggiamento fa il suo lavoro, e dopo il giocatore tira il dado corrispondente al suo livello di equipaggiamento (per esempio d12). Se ottiene un 1 o un 2, il dado corrispondente a quella Risorsa scende di un grado: la prossima volta il giocatore tirerà un d10. Quando si fallisce un tiro con il d4, la risorsa è esaurita temporaneamente – tranne che per la Sanità, in cui un fallimento sul d4 porta direttamente al manicomio.

La Sanità la conosciamo bene, e funziona come gli equipaggiamenti, tranne che per quanto sopra specificato e per il fatto che un fallimento nel tiro di Sanità comporta sempre un attacco temporaneo di pazzia.

L’investigazione si divide in Smokes (tutto ciò che un personaggio può fare per minacciare, corrompere, affascinare ecc.) e Flashlights (tutto ciò che il personaggio può fare per notare, trovare, capire, interpretare ecc.) Anche qui, quando il Master chiede un tiro di dado, la risorsa investigativa dà comunque un risultato positivo, un indizio di qualche tipo, ma se il successivo tiro di dado fallisce, la risorsa scende di un livello e l’indizio è accompagnato da una complicazione. In questo modo la narrazione progredisce anche in caso di fallimento, con una sorta di “fail forward” potenzialmente molto efficace per far evolvere l’azione drammatica.

La creazione del personaggio procede spedita, e dopo la generazione dei punteggi di caratteristica si può scegliere un archetipo, che fornisce tutti i dettagli necessari, compresi i punti ferita (ahimè, sembra proprio che non se ne possa fare a meno). In alternativa, si possono scegliere questi dettagli creando un personaggio “freeform”, cioè indipendente dall’archetipo.

Elementi di gioco come la distanza e la velocità di movimento sono gestiti in maniera non-tattica, vale a dire che è impossibile giocare a The Cthulhu Hack con la griglia (e vorrei ben dire…). Le distanze sono: contatto, vicino, lontano, molto lontano. Il tempo è calcolato in Momenti, Minuti e Scene.

Al combattimento sono dedicate tre pagine, che può sembrare poco ma è il 10% del regolamento. Non mi dilungherò su questo aspetto, vi basti sapere che la struttura del combattimento è molto semplice e adatta a risoluzioni rapide, con molto margine per la narrazione da parte del Master. Si tratta in sostanza di una successione di Saves sia per gli attaccanti che per i difensori (For per il combattimento corpo a corpo, Des per quello a distanza), che presumo abbia la tendenza (come tutti i giochi Old School) a fare affidamento sulle decisioni estemporanee del Master per essere adattato alle idee partorite dai giocatori e risultare meno monotono del solito “attacco + tiro per i danni”.

Sanità

Croce e delizia dei giochi Cthuleschi, qui la Sanità è definita come la presa sulla realtà e sui propri sensi. In senso lato, ricalca quanto esplicitato molto meglio nel classico Call of Cthulhu. La particolarità è che ogni volta che si fallisce un tiro di Sanità, oltre a scendere di un livello (fino al minimo del d4) si subisce un attacco temporaneo di pazzia. C’è una tabella su cui tirare casualmente il tipo di reazione anomala che avrà il personaggio (amnesia, paranoia, isteria ecc…) con consigli per interpretarla. A me questa cosa piace molto, per vari motivi. Innanzitutto la semplicità: un tiro di Sanità con il dado corrispondente e un tiro su 1d6 per interpretare la follia temporanea. Poi mi piace il fatto che la tabella riprenda le ampie categorie utilizzate da Lovecraft che, nella loro inappropriatezza e nel loro essere clinicamente superate, hanno il vantaggio di riprodurre l’atmosfera dei racconti e di non cozzare con i recenti sviluppi della scienza medica. Come dire, le categorie sono talmente antiquate da non consentire un parallelo con patologie mentali vere, creando potenziale disagio a certi giocatori. Nessuno al giorno d’oggi parla più di “isteria” (è scomparsa anche dal DSM V), ma niente come un attacco di isteria fa tanto anni Trenta.

C’è inoltre una regola opzionale (che io userei di default) che distingue vari tipi di orrore,  da quelli più domestici a quelli più trascendenti, riservando al contatto con i Miti il tiro Sanità duro e puro. E’ inoltre possibile introdurre anche un tiro “intermedio” di Shock, adatto a fare da cuscinetto per posticipare un po’ la spirale di discesa nella follia.

Altra regola opzionale che mi ispira molto è l’Adrenalina. Ogni personaggio inizia con due segnalini Adrenalina, da spendere per superare automaticamente un test di Sanità, al prezzo di consentire al Master di fargli acquisire, in un qualsiasi momento, una Orribile Verità (in termini di gioco, si tratta di effetti negativi vari, come introdurre una nuova minaccia, mettere in pericolo un innocente, forzare un tiro Sanità o Shock e altre perverse amenità).

Antagonisti

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4.712 punti ferita, o orrore sovrumano impossibile da affrontare e razionalizzare? ‘aa seconda che hai detto.

Gli antagonisti si dividono in comuni e attinenti ai Miti. Per creare quelli comuni, il sistema fornisce poche, utilissime regole. Per quanto riguarda i Miti, c’è un intero capitolo intitolato “Mythos 101” che dà una panoramica essenziale dell’immaginario lovecraftiano e dettaglia gli antagonisti “minori” (Byakhee, Elder Things, Gouls ecc.) e rinuncia a dare statistiche per gli Inenarrabili e Blasfemi Orrori Cosmici… vivaddio, qualcuno si è accorto che dare punti ferita al Grande Cthulhu fa ridere i polli!

Magia

Tanto per scoraggiare gli avanzi di D&D che si avventurano negli infidi territori dei Miti: anche solo imparare un incantesimo fa scendere permanentemente la Sanità di un livello (e qui di livelli ce ne sono al massimo 5, ho detto tutto). Gli incantesimi sono descritti in termini ampi, che lasciano spazio all’interpretazione e a quel tantino di gestione a regola-zero che nel gioco horror a me piace tanto tanto…

E’ tutto

O quasi. L’avventura introduttiva è stranamente ambientata ai giorni nostri, e serve solo per dare una sorta di interpretazione autentica di alcune meccaniche che sono descritte in maniera tanto scarna da risultare un po’ criptiche. Nel bundle che ho acquistato c’erano anche:

  1. La scheda personaggio, semplicissima e funzionale
  2. La scheda personaggio estesa, brutta e inutile
  3. La copertina fronte-retro, bella (vedi sopra)
  4. Character cards, praticamente un duplicato della scheda personaggio, ma forse sono io che non capisco l’utilità… boh
  5. The Cthulhu Hack From Unformed Realms, un supplemento di 20 pagine che contiene tabelle per generare orrori lovecraftiani da inserire in giochi diversi da TCH, curioso e bizzarro anche se forse un po’ troppo naif
  6. La copertina solo fronte
  7. The Haunter In The Dark, un’avventura completa per TCH
  8. TCH Hit Dice As Resource, una paginetta che spiega come usare lo stesso sistema delle Risorse anche per la salute del personaggio, sostituendolo ai punti ferita.

Che per 13 dollari e 33 non è poi malaccio.

Sì ma… funziona?

TCH ha tutte le carte in regola per funzionare egregiamente, sia come strumento per generare sessioni mystery con un sapore lovecraftiano, sia per ricercare l’esperienza più purista che si possa ottenere da un gioco di ruolo. E’ semplice, facile da imparare, facile da giocare, favorisce l’immedesimazione, rispetta il canone lovecraftiano in un modo che forse produzioni più blasonate non hanno avuto il coraggio di fare. Questo gioiellino nascosto è balzato nella top five dei giochi che voglio provare più prima che poi, e forse è un serio candidato al premio “gioco lovecraftiano ideale”, titolo che però verrà assegnato solo dopo aver provato i tre finalisti per almeno una sessione ciascuno (minimo). Per adesso passa il turno a mani basse, forte di un design essenziale e diretto, di un regolamento coerente e di un rispetto per la creatività del Master e per le fonti letterarie che i regolamenti “triple A” soffocano sotto a una marea di opzioni e dettagli tutto sommato utili solo per chi non conosce le suddette fonti.

Keep gaming.

Nuova campagna Dungeon Hack


Domenica 21 abbiamo terminato la lunga campagna intitolata “I Pilastri Eterni”. Durava dal 2015 e in barba a tutte le mie previsioni, è riuscita ad arrivare alla fine del ciclo narrativo che avevo ipotizzato due anni fa. Certo, ho dovuto sforbiciare un paio di salti planari, che però avevo già preventivato come del tutto opzionali, ma alla fine tutto è andato grosso modo come previsto. I personaggi hanno portato a casa la pelle e hanno salvato il mondo – o meglio: un mondo, un pocket plane in cui viveva una antica razza di creature pacifiche fatte di pura energia, dispersi e resi apolidi dai soliti, perfidi mind flayer.

Credo di poter dire che la campagna è stata molto soddisfacente, almeno per me. I giocatori hanno manifestato interesse e partecipazione, per cui mi par di capire che si siano divertiti anche loro. Ci sono stati un paio di momenti epici e più di un paio di momenti assurdi (ma è una costante nel nostro gruppo). Qualche morte, ma è inevitabile in un gioco hardcore come Dungeon Hack. Continua a leggere

Il seguace, questo sconosciuto


seguace_01C’era una volta il seguace. Lo assoldavi per quattro monete, o addirittura ti seguiva di sua spontanea volontà in cambio di vitto e alloggio, ti aiutava nei combattimenti, portava vagonate di suppellettili e accessori, badava ai cavalli, faceva la guardia. Il tutto per avere il privilegio di imparare da te la difficile arte dell’avventuriero professionista.

Poi, piano piano, il seguace è sparito. Non volatilizzato, quanto piuttosto reso inoffensivo, sterilizzato, accantonato fino a farlo finire nel dimenticatoio.

Cosa lo ha ucciso? Era davvero così male? Possiamo rivitalizzare in qualche modo la categoria del seguace?

Il seguace nasce da esigenze pratiche, in un’epoca in cui gioco di ruolo era sinonimo di gioco di dungeon. Era il periodo di quella che ora viene chiamata “old school”. Lo scopo dei PG era di diventare potenti, acquisire ricchezze, depredare tombe e sotterranei senza mai cercare di salvare il mondo. Le motivazioni dei PG erano triviali come le loro esigenze. Mentre mi aggiro nei meandri del dungeon, chi bada ai cavalli? Il seguace. Quando mi sposto da A a B, chi foraggia? Il seguace. Quando vado in esplorazione dall’altra parte della collina, chi cura i nostri averi? Il seguace. Chi trasporta le casse con i tesori? Il disco di Tenser. Va bè, ma se non c’è un mago ci pensa il seguace.

Il seguace aveva molte ragioni di esistere, sia “in game” che “out of game”. Rendeva possibile saltare tutte le parti noiose e concentrarsi su quello che contava veramente (il combattimento, le trappole, i puzzle, i tesori). Il seguace diventava comodo anche come personaggio di riserva. Quando il guerriero cade in battaglia, cosa c’è di meglio che promuovere un seguace ad avventuriero a pieno titolo? Continua a leggere

Top-five delle cose più assurde del D&D BECMI / Rules Cyclopedia


Scatola rossaHo incominciato a giocare a D&D con la famosa “scatola rossa”, la prima di una serie attualmente nota con l’acronimo BECMI (Basic, Expert, Companion, Master, Immortal). Adoro quel gioco, per tutta una serie di motivi tra i quali non ultima figura la nostalgia. L’altro ieri ho tirato fuori i manuali dalla scatola con l’unico scopo di annusarli. Avete letto bene, annusarli. Annusare libri è uno dei miei passatempi preferiti, alcuni li posso riconoscere dall’odore. Anche il manuale del giocatore edizione 3.0 ha un odore inconfondibile e probabilmente pochi di voi sanno che il Manuale del Giocatore della 3.5 ha un odore diverso dalla Guida del Master. Perché, mi domando? Sono la stessa edizione, dovrebbero avere lo stesso odore. Gli inchiostri sono gli stessi, che dipenda dalla colla della legatura? O dai diversi colori usati? Mistero.

Insomma, ero lì che sniffavo il manuale ed ero assalito dai ricordi (la mia prima giocata con gli amici, la musica che ascoltavo in quel periodo, la mia ragazza dell’epoca) e ho cominciato a pensare “e se organizzassi una campagna old school usando queste stesse regole?”. Mi sono baloccato per un po’ con l’idea e ho passato in rassegna tutti i numerosi lati positivi di D&D prima edizione, compresa l’impostazione mentale molto particolare che richiede e che magari sarà oggetto di un post dedicato. Intanto leggetevi “Quando c’era Gygax i pg morivano in orario” per farvi un’idea, soprattutto se siete cresciuti a pane e Terza Edizione.

Superato l’attimo nostalgico mi sono costretto a ragionare sulle cose che proprio non avevano senso in quel gioco. E ho scoperto che il tempo è stato tiranno e che solo ora vedo certe assurdità che all’epoca erano passate quasi inosservate. Le ho organizzate nella classica top five. Alcune sono comuni anche alle edizioni successive, altre sono esclusive del D&D delle Rules Cycolpedia o delle famose “Scatole colorate” (BECMI). Continua a leggere

Stars Without Number


CoverEbookIn piena Old School Renaissance arriva nel 2010 “Stars Without Numbers”, di Kevin Crawford, e ora, nel 2013, il sottoscritto ve ne fa la recensione dettagliata. Hai visto mai che qualcuno dei miei venticinque lettori lo voglia provare e si domandi ansiosamente: ne varrà la pena?

Si tratta di un gioco di ruolo dichiaratamente “old school”, al punto che i creatori ne predicano la compatibilità totale con le meccaniche della prima edizione del Gioco di Ruolo Più Famoso Del Mondo. A parte un dettaglio del tutto trascurabile: l’ambientazione è fantascientifica. L’idea di rendere il gioco retrocompatibile senza perdere troppo tempo a reinventare l’acqua calda è buona e il gioco, lo anticipo da subito, a mio parere è un gioiellino che va ben oltre la “nostalgia” che anima il movimento OSR. Ma andiamo per ordine.

Presentazione

Il gioco è edito da Sine Nomine Publishing. Il link sul sito della compagnia punta direttamente a DriveThroughRPG, dove è possibile scaricare gratuitamente il pdf oppure procurarsi una versione stampata per una somma non esorbitante. Il manuale si presenta bene, anche se la copertina è un po’ insulsa. All’interno il testo è molto chiaro e leggibile e non indulge in inutili font “futuristici” difficili da leggere che invecedominano altre produzioni. I capitoli sono ben suddivisi, gli argomenti sono correttamente evidenziati e i box esplicativi non danno fastidio e non sono (quasi) mai fuori contesto. Per chi acquista il pdf, gli unici elementi non printer-friendly sono proprio i titoli di capitolo, bianchi su ampio fondo nero, che succhiano toner per niente. Le illustrazioni sono di qualità discontinua, ma complessivamente bassa. Ciò che infastidisce è che manca un progetto unitario, un filo conduttore estetico. Sembra è una collezione di immagini amatoriali di mille autori diversi che sono state riunite giusto perché sono a tema vagamente fantascientifico.

Organizzazione dei contenuti

Il manuale procede in maniera lineare attraverso i seguenti blocchi (corrispondenti ai diversi capitoli): creazione del personaggio, psionici, equipaggiamento, sistema di gioco, storia dello spazio, manuale del master, generazione dei mondi, fazioni, creazione avventura, creazione alieni, xenobestiario, note del designer, esempio di settore galattico, risorse varie per il Game Master. Volendo si può leggere tutto da cima a fondo, ma è solo giocando che si può acquisire dimestichezza con il sistema, mentre il manuale è concepito per essere consultato solo quando serve. Con un paio di letture attente di tutto il manuale, l’aspirante Master dovrebbe essere in grado di cavarsela senza danni. Manca un capitolo o anche solo una sezione dedicata ad insegnare a giocare di ruolo, ma direi che la natura stessa del gioco qualifica il potenziale pubblico come un pubblico esperto di gdr, che necessita solo di istruzioni per adattare il sistema standard “old school” alle regole specifiche e all’ambientazione spaziale. Questo sembra essere un po’ la costante del gioco: prendere elementi noti ai giocatori di vecchia data e darne una nuova interpretazione. Per questo motivo seguirò anch’io lo stesso schema ed eviterò di ripetere tutto quanto è presente nel manuale. Mi concentrerò sulle novità e sugli spunti più interessanti. Continua a leggere

Retrocloni e Old School Renaissance


Da qualche settimana abbiamo iniziato una campagna D&D 3.5 che ci sta riportando agli antichi fasti. Questa ottica di ripescaggio di vecchie sensazioni ormai un po’ sopite può essere annoverata pienamente nel movimento denominato “Old School Renaissance” o più brevemente OSR.

Retrocloni

Scatola rossaDal “big bang” del 1974 di Dungeon & Dragons sono nati un’infinità di giochi di ruolo e di diversi modi di giocare. D&D stesso ha attraversato numerose incarnazioni, tra cui: D&D “basic”, D&D “scatola rossa”, AD&D (due edizioni), D&D 3.0 / 3.5, D&D 4.

Con la realizzazione dell’edizione 3.0 le meccaniche di base furono rilasciate sotto forma di OGL, Open Gaming License, denominata “d20”. Questo produsse un’esplosione di prodotti di terze parti, per lo più avventure e supplementi, e per lo più venduti online. Nuove società basate sullo sfruttamento della licenza d20 nacquero come funghi (e molte non sopravvissero alla successiva crisi di domanda provocata dalla saturazione del mercato).

La licenza d20 però ebbe un imprevisto effetto secondario. Alcuni nostalgici delle vecchie edizioni, ormai fuori produzione e pertanto introvabili, iniziarono a produrre giochi che formalmente non si chiamavano “D&D” ma che, sotto OGL, riproducevano perfettamente (o quasi) le meccaniche delle vecchie edizioni. Si resero così disponibili anche ai neofiti del genere le vecchie edizioni, oppure giochi nuovi ispirati pesantemente alle medesime, il più delle volte come download gratuiti. Questi giochi vengono anche chiamati retrocloni e hanno dato origine ad una vera propria moda, tesa a far rivivere i vecchi giochi.

Retrocloni di D&D. Limitandoci a D&D, ecco un elenco di regolamenti interessanti.

Labyrinth Lord: http://www.goblinoidgames.com/     (praticamente l’edizione Moldvay – scatola rossa e scatola blu). Interessante anche perché è tradotto in italiano. Quello che rende LL appetibile anche per il giocatore di vecchia data è che le regole “scatola rossa” erano sparpagliate su più manuali ed intervallate da spiegazioni lunghe e noiose ad uso e consumo dei neofiti totali.

Dark Dungeonshttp://www.gratisgames.webspace.virginmedia.com/ Stessa cosa del precedente, con una bella presentazione grafica. Solo in inglese. Mi ricorda la pretesa di elencare tutte le regole che ispirava il volume “Rules Cyclopedia”.

OSRIC: http://www.knights-n-knaves.com/osric/  AD&D prima edizione, in inglese, molto completo.

Ce ne sono un’infinità, ma secondo me questi tre sono i migliori.

Ma la domanda è una sola: p’cché?

A cosa servono questi retrocloni? A chi possono giovare? L’appassionato nostalgico vi risponderà: Continua a leggere