Gestione linguistica della simulazione – quinta parte


Riprendiamo il nostro discorso sulla gestione linguistica della simulazione, dopo una pausa forzata dovuta ai soliti inconvenienti (lavoro, famiglia, assenza di tempo libero, insomma stupidaggini se paragonate alla nobile arte del game designing). Prima di proseguire, ritengo opportuno fare il punto della situazione. Alcuni concetti emersi nelle passate riflessioni mi sembrano particolarmente interessanti e degni di essere conservati. Ecco qui un breve riassunto delle puntate precedenti: Continua a leggere

Gestione linguistica della simulazione – quarta parte


Il concetto di normalità e la costruzione delle scale linguistiche

Il dottore dice che sono normale, poi però mi ha consigliato questo capo di abbigliamento.

Avere ben chiaro cosa si intenda per “normalità” in un sistema di gioco di ruolo basato su scale linguistiche è fondamentale per costruire scale efficaci e funzionali.
La normalità assume significati diversi a seconda del contesto e la sua definizione è di primaria importanza, ma prima di affrontare questo argomento è necessario operare una distinzione importante. Descrivere un personaggio con scale linguistiche significa in sostanza descriverlo in relazione ad un grado base che è costituito dalla normalità. Da essa il personaggio si può discostare in meglio o in peggio di uno o due gradi. Esistono però due diversi modi di definire la normalità: quello assoluto e quello relativo. Quello assoluto è usato per definire caratteristiche, abilità, situazioni che la maggioranza degli individui condivide per natura, direi addirittura “per nascita”. Esempio semplice: la forza. Si può essere fortissimi o debolissimi, ma non esiste un individuo senza forza, a parte casi estremi di invalidità totale. Quindi, quando definiamo un personaggio come avente forza normale, non facciamo altro che porlo al centro di una ipotetica scala linguistica costruita così:

debolissimo
debole
normale
forte
fortissimo

Questa scala ha un singolo punto di normalità, situato al centro. La normalità in questo caso coincide con la fascia che statisticamente copre la maggior parte della popolazione, è ciò che “non fa notizia” perché è appartenente a tutti (oppure è percepito come tale). Ci addentreremo nei misteri della percezione soggettiva di ciò che sia normale nei prossimi post. Per ora è sufficiente notare come tutte le caratteristiche innate dell’individuo possano essere efficacemente descritte con scale di questo tipo, che chiameremo scale a singolo punto di normalità.

Una indiretta conferma di quanto sia condiviso questo punto di vista viene dal fatto che quando un individuo presenta una totale assenza di una caratteristica, spesso esiste un termine autonomo  che lo descrive. Per esempio, si può vedere bene o male, o anche malissimo, ma l’assenza di vista è chiamata “cecità”. Cioè, essendo una situazione percepita come anomala, si è creato un termine che rimarca la sua esclusione dalla scala che descrive le capacità visive di un soggetto.

Un secondo modo per definire la normalità è quello relativo. Esso si riferisce generalmente alle capacità e alle abilità apprese, che rientrano nel bagaglio fisico o culturale di un soggetto solo se questi si è dedicato ad impararle. Rientrano in questa categoria tutte le capacità che generalmente i regolamenti di giochi di ruolo elencano minuziosamente: guidare, andare in deltaplano, usare le armi, aggiustare un motore, fare calcoli matematici complessi ecc. Continua a leggere

Gestione linguistica della simulazione – terza parte


Nel momento in cui si decide di usare scale linguistiche invece che puramente numeriche si può temere che esse siano imprecise anche sotto il profilo dell’oggettività. Siamo abituati a considerare i numeri come portatori di certezze e di obbiettività. Dire che un personaggio ha 17 di Forza è percepito come più oggettivo rispetto al dire che è “molto forte”. Questo avviene perché la nostra vita è permeata di soggettività, e tale soggettività si estrinseca in giudizi verbali. Quindi è naturale credere che un giudizio verbale sia soggettivo e uno numerico sia oggettivo.

A ben vedere, però, il problema è un’illusione. La differenza tra i giudizi verbali espressi nella vita di tutti i giorni e i giudizi verbali che costituiscono le scale linguistiche è abissale, perché è diversa la struttura di questi giudizi. Un giudizio verbale di tutti i giorni è un valore arbitrario che noi assegnamo ad un aspetto della realtà ed è totalmente dipendente dalla nostra percezione (anch’essa soggettiva e variabile da un individuo all’altro). Per questo, se dico che una persona è “stupida”, in realtà sto dicendo: Continua a leggere

Gestione linguistica della simulazione – seconda parte


Un altro motivo per preferire le scale linguistiche nel gioco di ruolo è che il loro scopo è di rappresentare caratteristiche umane, quali la forza, l’agilità, l’intelligenza, la competenza nel costruire archi, l’abilità nel barare ai dadi ecc. Queste caratteristiche sono complesse, multiformi, cangianti ai limiti dell’indeterminatezza. Prendiamo ad esempio la forza di uomo: se si paragonano le performance di due sollevatori di pesi è possibile determinare che uno è in grado di sollevare 2 kg più dell’altro, ma se si prende la categoria dei sollevatori di pesi e la si confronta con l’umanità intera, non è possibile fare distinzioni fini: i nostri due soggetti saranno entrambi considerati “molto forti”.

Questo può sembrare problematico a causa dell’apparente indeterminatezza delle reali capacità di questi due personaggi. In realtà le situazioni in cui entrerà in gioco la necessità di verificare quale dei due sia il più forte sono pochissime, anzi, è una sola: la gara di sollevamento pesi. In tutte le altre occasioni, uno potrà prevalere sull’altro per motivi che vanno al di là della forza in senso stretto. Ma anche in un contesto ben determinato e regolamentato come la gara di sollevamento pesi le rispettive performance non saranno lo specchio fedele delle capacità dei due atleti. Ai fini della vittoria contano elementi diversi quali: la motivazione, l’intelligenza, la capacità di autocontrollo, la grinta, la calma, il sonno della notte precedente, il pasto della sera prima, la concentrazione ecc. L’essere umano è una sinergia di elementi eterogenei, e quantificare ciascuno di questi elementi in maniera precisa è impossibile. Si può solo avere un’idea generica di quale sia il suo livello complessivo, senza scendere nel dettaglio. Questo livello complessivo conferisce una base, un punto di partenza orientativo sulle capacità del soggetto. Nel momento di mettere alla prova la capacità in questione però si dovrà sempre tenere conto degli infiniti fattori addizionali che condizionano il risultato finale, nel gioco generalmente rappresentati e riassunti dal dado (o da qualsiasi altro sistema di gestione degli elementi aleatori). Continua a leggere

Gestione linguistica della simulazione – prima parte


La volta scorsa ho introdotto un concetto che secondo me vale la pena di approfondire, cioè la possibilità di gestire in maniera “linguistica” la simulazione della realtà fantastica. La finalità ultima è di scoprire come si possa creare un set di regole che agevolino uno stile di gioco simulazionista senza fare ricorso a una pletora di tabelle e numeri, ma usando ampie categorie prese in prestito dal linguaggio comune. Potremmo chiamarla anche gestione “narrativa”, ma non vorrei fare confusione con “narrativista” che è un’altra cosa (si veda a questo proposito l’articolo che definisce il narrativismo di The Forge e il post di ghostodog sull’argomento “narrativo-narrativista”).

In questo e nei prossimi post quindi cercherò di isolare dei principi, di mettere per iscritto delle osservazioni personali e in generale di annotare tutto quanto possa essere utile, per poi dare al tutto una forma finale che abbia senso compiuto. Mi addentrerò in elucubrazioni di vario genere, per cui chi è allergico alla teoria del gioco di ruolo può tranquillamente saltare tutti i post intitolati “Gestione linguistica della simulazione” e vivere felice senza perdersi niente. I pochi sadici che mi vogliono seguire in questa avventura strampalata sono pregati di continuare a leggere e di avere pazienza se talvolta sarò poco chiaro o poco preciso nel linguaggio tecnico. Ogni richiesta di spiegazioni, precisazioni, puntualizzazioni e correzioni sarà considerata con la massima attenzione, soprattutto se espressa con intenti costruttivi. Mi considero un esploratore, non un maestro, per cui, chi ne sa più di me (e sono in tanti là fuori) è pregato di darmi una mano e non di demolirmi.

Questa volta parlerò dei vantaggi dell’uso degli aggettivi per definire le capacità dei personaggi e lo farò partendo dalla definizione di un concetto di base che userò spesso, cioè la scala numerica.

Una scala numerica è una sequenza di numeri che rappresentano diversi livelli di competenza del personaggio in un determinato ambito. Generalmente nei giochi di ruolo le scale numeriche implicano che al numero maggiore corrisponde una maggiore efficacia/conoscenza/abilità, anche se non in tutti i giochi è così. Un esempio di scala numerica è dato dalle caratteristiche del personaggio in D&D, che vanno da 1 a infinito. Ad un numero più alto corrisponde una maggiore competenza.

A loro volta, le scale numeriche si possono distinguere in scale linguistiche e scale puramente numeriche. Continua a leggere