Oggi vi parlo dei punteggi di Caratteristica, concentrandomi sui tre “mentali”. In passato avevo già toccato l’argomento dal punto di vista dei giocatori (qui e qui). Oggi invece ne parliamo nell’ottica del Master, che deve trarre il massimo da queste tre statistiche scarne per avere un’idea di come interpretare il relativo PNG (o mostro). La solita avvertenza: non voglio insegnare niente, le mie sono solo elucubrazioni personali che mi tornano comode quando devo decidere come interpretare il significato delle Caratteristiche. Non si tratta in alcun modo di interpretazioni “ufficiali” e certamente valgono quanto quelle di chiunque altro. Anzi, sarei contento che i lettori evidenziassero eventuali approcci personali diversi dal mio, per arricchire il mio bagaglio di “sporchi trucchi da Master”.
Detto questo, iniziamo il pippone mentale.
Il segreto di Pulcinella delle Caratteristiche è che vanno interpretate le une per mezzo delle altre. Non è tanto il singolo valore che conta, quanto la loro combinazione. In particolare, il valore di Intelligenza ha un gran bisogno di essere delimitato facendo ricorso a Saggezza e Carisma.
L’intelligenza umana è qualcosa di molto difficile da definire. Non esiste allo stato attuale una definizione ufficiale e univoca del concetto di intelligenza. Dal punto di vista etimologico:
Intelligenza (s.f.) – dal sostantivolatinointelligentĭa, a sua volta derivante dal verbointelligĕre, “capire”.
Secondo alcuni intelligĕre sarebbe una contrazione del verbo latino legĕre, “leggere”, con l’avverbiointŭs, “dentro”; chi aveva intelligentĭa era dunque qualcuno che sapeva “leggere-dentro”, ovvero “leggere oltre la superficie”, comprendere davvero, comprendere le reali intenzioni. Secondo altri, intelligĕre è invece una contrazione di legĕre con la preposizione ĭnter, “tra”; in tal caso avrebbe indicato una capacità di “leggere tra le righe”, stabilire delle correlazioni tra elementi.
(da Wikipedia, voce “Intelligenza”)
Mi piace molto il “leggere tra le righe”, anche se con tutta evidenza il concetto di intelligenza come sinonimo di “capire” è un po’ troppo vago per i nostri scopi. Continua a leggere
…e per intelligenti intendo “molto” intelligenti, diciamo dal 18 in su.
Un essere umano normale avrebbe un punteggio di intelligenza di 10 o 11, uno più intelligente della media può arrivare a 13 o 14. Per avere un 16 o un 17 dobbiamo cercare tra i più brillanti scienziati e il 18 lo riserviamo a Einstein, Hawking e a pochi altri.
Io credo di aggirarmi intorno all’11. Ogni tanto mi comporto da 6, ma ne sono consapevole, quindi in qualche modo mi riabilito… forse.
Il punto è: come faccio, io povero Master con Int 11, a interpretare un essere di intelligenza sovrumana?
Me lo sono chiesto spesso e col tempo ho isolato alcuni punti fermi che voglio condividere con gli amici Master nei prossimi due o tre articoli. Alla fine, proverò ad applicare questi criteri a uno dei miei mostri preferiti: il Mind Flayer (e così mi ricollegherò anche alla serie “mostri iconici”… due piccioni con una fava).
E veniamo all’elenco dei miei sporchi trucchi:
1) Pianificazione e “decision stick”
2) Saper leggere insieme i punteggi di Caratteristica, l’allineamento e la descrizione
3) Sfruttare le idee dei giocatori
4) Sfruttare l’ignoranza dei giocatori
1) Pianificazione e “decision stick”.
Di primo acchito, la pianificazione può sembrare la strategia migliore. In fondo, sei il Master, hai tutto il tempo del mondo per immaginare strategie e piani B, C, D ecc… usa questo tempo! Preparati, immagina cosa faranno i pg e appronta una strategia per contrastare le loro azioni. Un essere intelligentissimo riuscirebbe a improvvisare queste strategie, tu ti limiti a giocare d’anticipo. L’effetto finale sarà lo stesso. O no? In effetti, forse no, o almeno non sempre.
La pianificazione è fondamentale, su questo siamo tutti d’accordo: è indispensabile avere sempre un piano pronto per ogni eventualità ragionevolmente prevedibile al momento della stesura dell’avventura. Gli improvvisatori duri e puri non credono tanto nel valore della pianificazione, ma in realtà cercare di prevedere gli sviluppi delle scelte dei PG può impedire momenti di stallo nel gioco ed è un esercizio mentale utilissimo di per sè. Se correttamente usato, questo esercizio può rafforzare la trama di una campagna e la coerenza complessiva dell’ambientazione. “Cosa succede se…?” è una domanda che ci si deve porre spesso in fase di progettazione della campagna, e anche solo tentare di darvi una risposta migliorerà la qualità delle vostre trame in modo impressionante. Allo stesso modo, quando si studiano le tattiche e le reazioni dei PNG intelligenti, la domanda “cosa succede se…?” diventa uno strumento potente per dare ai giocatori l’illusione di avere a che fare con un antagonista brillante.
Tuttavia bisogna guardare in faccia alla realtà e ammettere che la pianificazione non è tutto. Continua a leggere
Con questo articolo della serie “Vita da Master” voglio inaugurare una sequenza di articoli monografici per condividere con gli amici Master e Giocatori alcuni aspetti interessanti degli avversari iconici di Dungeons & Dragons, cioè di quei mostri che hanno fatto la storia di questo gioco, che appartengono all’immaginario collettivo dei giocatori, al di là dei soliti draghi. La base di queste riflessioni saranno le statistiche originali contenute nei regolamenti delle varie edizioni, ma resta inteso che esistono prodotti di terze parti (soprattutto d20) che contengono una miriade di informazioni e idee che possono rivelarsi utilissime.
Questa volta parlerò di un mostro “che più D&D non si può”: il Beholder. Mi sono trovato soltanto due volte a incentrare buona parte della campagna su un supercattivo costituito da un beholder, più un’altra volta in cui ho fatto affrontare ai miei giocatori un beholder non morto (!), ma l’affetto che provo per questo orrore occhiuto è di gran lunga superiore a quanto farebbe sospettare la mia limitata esperienza sul campo. Un’avvertenza: esistono decine di varianti del beholder, ma mi concentrerò sulla versione vanilla, quella dei manuali base, che è più che sufficiente a generare incubi in intere generazioni di avventurieri.
Varie edizioni, stesso orrore
Agli albori del gioco, il beholder era già presente, con i suoi dieci occhi e con il suo occhione centrale antimagia. Puntate i vostri browsers su questo indirizzo, per avere un’analisi comparativa ufficiale (marchiata WotC) del beholder nelle varie edizioni. Apprezzate le sottili sfumature che distinguono le diverse versioni: per esempio, nel D&D BECMI gli occhi che potevano essere rivolti nella stessa direzione erano quattro, e non tre. In compenso non potevano essere rivolti in alto nè in basso, dando la stura a tutta una serie di strategie di fiancheggiamento “dal basso” o tentativi di attacco dall’alto che hanno mietuto più vittime del virus Ebola. Bei tempi… Continua a leggere
Spesso i giocatori di ruolo hanno molti hobby “collaterali”: cinema, letteratura fantasy, disegno, fumetti, collezione di action figures, scherma storica, modellismo. Io sicuramente ne ho molti (pure troppi) e fra essi spicca il modellismo. Per quanto mi riguarda, sono stato modellista molto prima di essere giocatore di ruolo e questa passione è soggetta a periodiche recrudescenze.
La settimana scorsa Mescal si presenta nel mio studio con il sorrisetto perfido tipo “a questo non puoi dire di no”, e mi dice:
“Non indovinerai mai cosa c’è questo fine settimana a Stresa” facendo scivolare sul tavolo con studiata noncuranza il volantino dell’evento.
Il World Model Expo, appunto. Cioè, un evento triennale che comprende: un’esposizione di modelli e miniature storiche, una gara internazionale di modellismo, una fiera dei più importanti produttori di kit e accessori, più alcune rievocazioni storiche in costume e una serie di conferenze e workshop. Una cosa del genere a due passi da casa è un dono del cielo. Continua a leggere
Da un po’ di tempo mi frulla nel cervello questo concetto senza che sappia bene come portarlo a compimento o cosa farmene… e cosa c’è di meglio che darlo in pasto ai miei venticinque lettori per vedere se contiene qualcosa di meritevole di discussione? Bene, la sostanza è questa: nei giochi di ruolo di impostazione tradizionale il Master ha un’importanza enorme (e fin qui, niente di nuovo), ma – e qui viene la domanda – potrebbe darsi che questa importanza sia preminente sul sistema di regole usato al punto da privare di rilevanza le regole e/o la distinzione formale tra un gioco e l’altro?
Andiamo per ordine:
1) Per “giochi di impostazione tradizionale” intendo D&D e i suoi figli, che si giocano tutti nella stessa maniera: il Master descrive il mondo, il giocatore dice cosa vuole fare il suo personaggio, il Master dice se ci vuole un tiro di dado oppure no, si esegue l’eventuale tiro di dado, il Master narra l’esito della prova. Tutti (e sottolineo TUTTI) i giochi tradizionali hanno questa impostazione. Si può dire (e infatti è stato detto) che le regole del gioco di ruolo siano tutte qui. Quelle che vengono di solito chiamate “regole” in realtà lo sono soltanto in via subordinata, complementare. Questo perché le regole che ho sopra riassunto dicono come si gestisce il rapporto tra i partecipanti al gioco e come si distribuisce l’autorità narrativa all’interno del gioco stesso. Queste regole sono così importanti che spesso vengono date per scontate, oppure sono esposte in maniera implicita nel famoso e immancabile paragrafo iniziale dei manuali che fa un esempio di sessione di gioco. In realtà Continua a leggere
Ho incominciato a giocare a D&D con la famosa “scatola rossa”, la prima di una serie attualmente nota con l’acronimo BECMI (Basic, Expert, Companion, Master, Immortal). Adoro quel gioco, per tutta una serie di motivi tra i quali non ultima figura la nostalgia. L’altro ieri ho tirato fuori i manuali dalla scatola con l’unico scopo di annusarli. Avete letto bene, annusarli. Annusare libri è uno dei miei passatempi preferiti, alcuni li posso riconoscere dall’odore. Anche il manuale del giocatore edizione 3.0 ha un odore inconfondibile e probabilmente pochi di voi sanno che il Manuale del Giocatore della 3.5 ha un odore diverso dalla Guida del Master. Perché, mi domando? Sono la stessa edizione, dovrebbero avere lo stesso odore. Gli inchiostri sono gli stessi, che dipenda dalla colla della legatura? O dai diversi colori usati? Mistero.
Insomma, ero lì che sniffavo il manuale ed ero assalito dai ricordi (la mia prima giocata con gli amici, la musica che ascoltavo in quel periodo, la mia ragazza dell’epoca) e ho cominciato a pensare “e se organizzassi una campagna old school usando queste stesse regole?”. Mi sono baloccato per un po’ con l’idea e ho passato in rassegna tutti i numerosi lati positivi di D&D prima edizione, compresa l’impostazione mentale molto particolare che richiede e che magari sarà oggetto di un post dedicato. Intanto leggetevi “Quando c’era Gygax i pg morivano in orario” per farvi un’idea, soprattutto se siete cresciuti a pane e Terza Edizione.
Superato l’attimo nostalgico mi sono costretto a ragionare sulle cose che proprio non avevano senso in quel gioco. E ho scoperto che il tempo è stato tiranno e che solo ora vedo certe assurdità che all’epoca erano passate quasi inosservate. Le ho organizzate nella classica top five. Alcune sono comuni anche alle edizioni successive, altre sono esclusive del D&D delle Rules Cycolpedia o delle famose “Scatole colorate” (BECMI). Continua a leggere
I giocatori di ruolo sono una razza strana. Nutrono smodato amore per alcune immagini (per esempio il cavaliere in armatura scintillante, il mago avvolto in lunghe vesti) e hanno antipatie tutte particolari per altre. Un esempio di figura lasciata ai margini dell’immaginario collettivo dei giocatori di ruolo è quella del soldato armato di scudo. Fateci caso: la maggioranza dei giocatori di ruolo fantasy trascura gli indubbi vantaggi di imbracciare uno scudo in favore di cliché più graditi, tipo lo spadone a due mani o l’ascia da nano (anche quella a due mani), oppure armi in asta maneggiate anche in ambienti angusti con la facilità con cui un bambino fa roteare una verga di salice. Spesso sono i regolamenti i responsabili di queste bizzarrie, perché tendono a equiparare il combattimento con spada e scudo a quello con uno spadone, per rendere il gioco “bilanciato”. E allora si vedono sistemi di risoluzione del combattimento che cercano di rendere le due opzioni diverse ma equivalenti, per non privilegiare a priori l’una rispetto all’altra. In realtà nessun sistema di gioco tiene conto di tutta una serie di fatti che hanno decretato lo scudo come il sistema di difesa per eccellenza attraverso i secoli, ineguagliato fino alla fine del 1400 e prezioso anche oltre, fino al suo declino per opera delle armi da fuoco. Elencherò quindi una serie di motivi per cui, potendo scegliere, nessun guerriero medievale avrebbe mai fatto a meno dello scudo. Infine, cercherò di individuare i (pochi) casi in cui è preferibile scegliere di non usarlo. Un’avvertenza: siccome è un post riassuntivo di molti argomenti diversi, non cito fonti per non renderlo ancora più lungo e pedante. Se siete interessati ad approfondire un aspetto particolare, posso fornirvi un po’ di riferimenti bibliografici a richiesta. Continua a leggere
I film sono fonte di ispirazione e divertimento, ma alcune volte sono origine anche di miti da sfatare duri a morire. Uno di questi è il mito del TCHINNGG. Nei film fantasy e nei film storici – senza alcuna eccezione – le armi estratte dal fodero fanno questo rumore:
Questo è il rumore di metallo che sfrega contro metallo. Fastidiosissimo, tra parentesi. Ebbene, cari amici vicini e lontani, come sicuramente avrete capito le spade estratte dal fodero non fanno questo rumore. Se possedete una replica di spada medievale o romana degna di questo nome potete fare la prova. I samurai là fuori possono provare a estrarre la loro katana (seee, come se non lo facessero quotidianamente da anni, NdR). Per fare la prova va bene anche un pezzo bizzarro come questo:
tratto dalla mia (inesistente) collezione personale. Mi si dice che serva per tagliare la carne, ma ha un aspetto sinistro. In effetti, non è specificato quale carne debba tagliare. Può anche essere carne di cristiano. Brrr.
Il rumore di un’arma estratta dal fodero somiglia più a SSSTH che a TCHINNGG. Questo per la particolare conformazione del fodero, che a sua volta è dettata dalla sua funzione. Allora parliamo del fodero, così questo articolo non si riduce a un semplice rant. Come sempre vale l’avvertenza secondo cui non sono un oplologo, voglio solo condividere alcune mie “scoperte”, che per gli esperti veri sono segreti di Pulcinella. Se c’è qualcuno che se ne intende e vuole aggiungere o rettificare oppure ridicolizzarmi pubblicamente, faccia pure.
A noi! Il fodero di una spada serve a:
1. Trasportarla comodamente
2. Evitare di ferirsi mentre la si trasporta
3. Proteggerne la parte più importante e delicata, cioè la lama
Le prime due funzioni sono ovvie, mentre la terza un po’ meno. La spada è un’arma, la spada fa male, ma al tempo stesso la spada è delicata. La lama di una spada è come un meccanismo di precisione, va tenuta bene. Il filo è importantissimo ed è soggetto a usura, scalfittura, ruggine, incrostazioni, tutte cose che ne minano alle fondamenta l’efficacia. Quando la tua sopravvivenza dipende da quanto bene taglia la tua spada nel – magari – unico colpo che riesci ad assestare al nemico, è ovvio che farai di tutto pur di tenere il tuo “strumento del mestiere” in perfetto stato. Da qui l’esigenza di una protezione da agenti atmosferici, aria, umidità, urti accidentali. Il fodero nei secoli si è evoluto molto, includendo innumerevoli accorgimenti per migliorarne l’efficienza. Esaminiamo da vicino come è fatto.
Generalmente si tratta di una custodia che segue fedelmente le forme della lama da proteggere, in parte per questioni di economia, in parte perché non avrebbe senso lasciare spazi inutilizzati all’interno del fodero, dove si depositerebbero inevitabilmente umidità, sporcizia, sangue rappreso e chissà che altro. Il materiale varia a seconda dei luoghi e delle epoche: legno e cuoio sono le scelte più frequenti, in ogni caso è escluso il metallo, se non per fregi, anelli e particolari comunque esterni rispetto al fodero stesso. Nessuna parte di metallo è mai posta a contatto con il metallo della lama, proprio per evitare l’effetto-mola che rovinerebbe la lama. Inoltre, il metallo è soggetto a dilatazione a seconda della temperatura. Se poniamo due metalli a contatto e la temperatura si alza otteniamo una spada incastrata. Lei incastrata, tu morto. Il fodero quindi era fatto di materiali resistenti ma flessibili. La sommità generalmente presentava un sistema di blocco della spada per evitare che essa scivolasse fuori inavvertitamente. In genere era previsto un qualche tipo di laccio, ma si vedono anche raffinatissimi “collari” di velluto o altro materiale che presentano una certa resistenza, ma non tale da impedire un’estrazione veloce. Se osservate il forchettone che mi tengo in casa vedrete di quale ingegnoso sistema di bloccaggio e sbloccaggio rapido disponga. L’esterno della custodia poteva essere ornato in mille modi e con mille materiali, ma questo articolo si concentra sull’aspetto funzionale e non su quello estetico, per trattare il quale in maniera esauriente non basterebbe un’enciclopedia. L’interno poteva essere nudo oppure rivestito di materiali morbidi isolanti: tessuto, pelle, pelliccia, velluto, a seconda anche qui delle epoche. Talvolta era rivestito di pelliccia con il pelo orientato verso la punta della spada, in modo da opporre resistenza alla fuoriuscita accidentale senza necessità di usare lacci.
Generalmente la lama era ingrassata o lubrificata in qualche modo, sempre con funzioni di protezione. In alcuni casi il fodero assolveva anche a questa funzione, contenendo lubrificante che si spalmava automaticamente sulla lama ogni volta che questa era rinfoderata.
E’ quindi comprensibile come in nessuna epoca e in nessun luogo il rumore di estrazione della spada sia mai stato TCHINNGG. Quindi, rumoristi di Hollywood, per favore, smettete di fare TCHINNGG. E già che ci siete, smettete di fare TCHINNGG ogni volta che qualcuno raccoglie un oggetto di metallo da terra. Nemmeno in quel caso il metallo fa TCHINNGG. E se qualcuno decide di raccogliere l’Unico Anello da un pavimento di cotto, beh, udite udite: nemmeno in quel caso l’anello fa TCHINNGG. Aderite alla campagna per un mondo de-TCHINNGGhizzato. Per un futuro migliore.
Nella prima puntata avevo anticipato che, secondo me, il concetto-chiave di una buona sessione horror è il superamento della barriera che divide il giocatore dal personaggio. Non si tratta di immedesimazione pura e semplice, che ci deve essere sempre e comunque per un buon gioco di ruolo. Si tratta di un concetto diverso che proverò a spiegare in questo post. Non me ne vogliano i pragmatici, quella che segue è una lunga tirata teorica. Come sempre, siete avvisati. Se non amate i voli pindarici, saltate pure questo articolo e vivrete bene lo stesso. Continua a leggere
Continua la serie di articoletti con cui condivido alcuni sporchi trucchi per inserire con successo l’horror nel gioco di ruolo. Oggi parliamo di:
3. Tecniche narrative
Il gioco di ruolo orientato all’orrore è basato su atmosfere molto fragili e la volta scorsa abbiamo visto come sia indispensabile la collaborazione dei giocatori al fine di non spezzare tali atmosfere con comportamenti “disfunzionali”. Una volta disinnescati tali comportamenti distruttivi, resta ancora da fare tutto il lavoro costruttivo, cioè la creazione e il mantenimento dell’atmosfera adeguata. Lo strumento primario nelle mani del Master è la tecnica di narrazione, a sua volta suddivisibile in voce, mimica e parole utilizzate. Come sempre, mi limiterò a fornire spunti su argomenti provati in prima persona, senza alcuna pretesa di completezza o scientificità.
Voce. Imparare a usare correttamente la voce è una fatica che viene ripagata da un gioco di qualità superiore.
1) Rispettare le dinamiche. Mantenere un tono pacato, colloquiale, senza istrionismi è fondamentale per costruire un senso di aspettativa. Poi, occasionalmente, quando lo richiede la situazione, il volume si può alzare, la voce diventa cavernosa oppure stridula, imita voci dei personaggi o suoni, naturali e non. Se questi picchi compaiono su uno sfondo formato da una voce narrante solida, costante, non fastidiosa, essi acquisiscono efficacia. Altrimenti, se il Master non fa altro che gridare e fare versi, i momenti che hanno bisogno di essere sottolineati si perdono nel marasma generale. Allo stesso modo un Master che cerca di ottenere l’atmosfera sussurrando tutto il tempo con fare cospiratorio si rende fastidioso e ridicolo. C’è un momento per sussurrare e un momento per alzare la voce. Continua a leggere