Mostri di D&D che non mi piacciono


alligatorCi sono un sacco di mostri di D&D che considero stupidi, brutti, inutilizzabili, troppo potenti, troppo poco potenti, o addirittura ridicoli. C’è però una categoria che non sopporto, e magari qualche psicologo tra i miei lettori ci sarà e mi potrà dare indicazioni sul perché abbia così in odio tale categoria. Ci sarà di certo una ragione inconscia, che con tutta probabilità ha origine in un trauma infantile, magari legato al sesso, così tutti i clichè sono stati soddisfatti e siam tutti più tranquilli.

O forse sono proprio mostri di merda.

Sto parlando dei mix che io definisco “innesti”: uomo con testa di animale, animale con testa di uomo. Rakshasa: umanoide con testa di tigre. Yuan ti: umanoide con coda di serpente. Sirena: donna con coda di pesce. Centauro: cavallo con innestata la parte superiore del corpo di un umanoide. Nella categoria non sono compresi gli umanoidi mostruosi, tipo gli uomini lucertola. Di uomo non hanno niente, a parte il nome, sono a tutti gli effetti delle lucertole bipedi e un po’ intelligenti. E’ l’innesto che mi disturba. Mi suona come un modo sciatto, pigro, di costruire una creatura fantastica.

I più attenti obbietteranno: “Proprio tu parli, tu che adori il mind flayer, che non è altro che un umanoide con la testa di calamaro!” Sbagliato. Intanto il mind flayer ha tentacoli in faccia, ma non è un calamaro nè un umanoide con la testa di calamaro. Poi c’è una gerarchia nei principi che regolano la mia nerditudine, e il principio “i mix uomo-animale sono mostri loffissimi” è di gran lunga inferiore al principio “everything is better with tentacles”. Quindi non mi ammorbate, rivendico il mio diritto all’incoerenza mascherata da cavillosi distinguo. E bom. Continua a leggere

Miti da sfatare: l’ingombro


backpackCroce e delizia dei dangionari più hardcore, cavallo di battaglia dei rules lawyer, tragedia dei powerplayer. La regola più ignorata della storia di D&D e affini, e paradossalmente l’unica regola che riuscirebbe a introdurre un po’ di verosimiglianza nelle avventure fantasy. Da cui si deduce che della verosimiglianza non importa un granché quasi a nessuno. Oppure l’ingombro ha ancora qualcosa da dire? Scopriamolo insieme.

Sin dagli albori del gioco di ruolo, improntati a un’esplorazione minuziosa di dungeon letali e alla ricerca di bottino da depredare, gli autori hanno cercato di introdurre un qualche tipo di meccanismo che riproducesse la difficoltà di portarsi in giro l’equipaggiamento e i tesori. Non mi addentrerò nella disamina delle tabelle dei pesi basate sui diversi punteggi di Forza del personaggio. Quelle sono un grottesco monumento alla vanità umana, alla nostra velleità di trasformare tutto in numeri, di comprendere, catalogare, prevedere. Voglio invece suggerire spunti di riflessione per un miglior gioco, suggerire una serie di idee a cui non si pensa quasi mai durante una sessione ma che potrebbero rivelarsi ottimi pretesti per giocare – letteralmente – di ruolo.

Se guardiamo qualche film o qualche serie tv di avventura notiamo subito che certe questioni pratiche rivestono grande importanza. I western non sono soltanto sparatorie, ma anche e soprattutto cose come: la traccia è fangosa, i carri sono troppo pesanti, non abbiamo provviste a sufficienza, il passo montano è praticabile solo tre mesi all’anno, accidenti il fucile è sul cavallo e non posso raggiungerlo, mi hanno rubato il cavallo con le provviste, troviamo un riparo per la notte e via dicendo. Spesso l’avventura è costituita proprio dalle difficoltà oggettive di organizzazione, trasporto, approvvigionamento. Se poi parliamo di guerra, risulta evidente che in tutte le epoche e in tutti i luoghi essa è quasi esclusivamente un problema di logistica. Continua a leggere

Il Troll Quantistico


Nel linguaggio del gioco di ruolo, in un momento imprecisato e a opera di chissà chi, a un certo punto compare l’espressione “Troll quantistico”. Siccome ultimamente mi sono imbattuto più volte in questo modo di dire, associato a una connotazione negativa del suo significato, vorrei dire la mia su alcune questioni di progettazione di avventure che il troll quantistico solleva.

Prima però bisogna capire cosa sia il troll quantistico. Non sono riuscito a trovare una definizione ufficiale, ma solo una serie di spiegazioni generali. L’espressione è gergale, per cui si presta a molteplici significati. In via di grande approssimazione, definisce non solo un troll, ma un qualsiasi tipo di incontro, mostro, antagonista e in generale evento, che i giocatori incontreranno di sicuro perché il Master lo sposta in base alle loro scelte. Facciamo un esempio:

I personaggi stanno esplorando il classico dungeon e giungono a un bivio: a destra un corridoio lungo e stretto, a sinistra una scala che conduce a una porta. Se seguono il corridoio, il Master farà loro incontrare un troll. Se salgono la scala e aprono la porta ci troveranno dentro un troll: lo stesso. Non un troll uguale (perché sennò si tratterebbe di riciclo dei png, che è una tecnica differente), no no, proprio lo stesso incontro. Semplicemente, il Master ha deciso che prima o poi quel troll lo si doveva incontrare, per cui lo piazza dove è più comodo, facendo sì che la libertà dei personaggi sia solo un’illusione.

Perché “quantistico”? Intuisco che il riferimento sia alle bizzarre leggi della fisica quantistica, che io non conosco, ma che evidentemente conosceva l’inventore dell’espressione. Niente di più facile, dato che fino a una quindicina di anni fa il gioco di ruolo era roba da studenti di fisica nerdissimi e alienati, anche se molto simpatici. Ne ho conosciuti a pacchi, fidatevi, sia sull’alienazione che sulla simpatia. In pratica è un modo per dire “un troll che sta qui, ma può stare anche lì”, oppure “un troll che si materializza dove lo cerchi, e più non dimandare“, frutto dello humor autoironico di matrice goliardica tipico di chi ha tanto tempo a disposizione (studenti), tanti neuroni (di fisica),  e poca dimestichezza con l’altro sesso (nerdissimi). E’ il genere di frase che starebbe bene in bocca a Sheldon Cooper. Continua a leggere

Alimentazione medievale e gdr fantasy – parte seconda


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Prima di morire devo assaggiare il pavone…

Cerco istintivamente di integrare nel gioco di ruolo ogni nozione storica che offra un minimo di interesse o di originalità. Mi domando sempre in che modo sia possibile utilizzarla per rendere più varia l’esperienza di gioco e se sia produttivo inserirla in qualche forma nelle avventure o, addirittura, in apposite house rules. Il contatto con il mondo della cucina medievale è stato interessante di per sè, ma anche in relazione al gioco di ruolo, e quindi continuo nella mia rapida carrellata su quelli che secondo me sono gli elementi più utili per arricchire il nostro world building.

Un elemento da tenere in considerazione quando si parla di cibo medievale è che esso aveva importanza simbolica, medica e persino religiosa. Il cibo non era semplice cibo, era un modo per mantenersi in salute, uno status symbol e un segnale di determinate ricorrenze. Il cibo era parte integrante della vita e della società e non si esauriva nel nostro banale “cosa facciamo per cena?” o nella nostra edonistica e un po’ vuota ricerca del “piacere della buona tavola”.

Cibo e medicina

Alle varie pietanze era attribuita tutta una quantità di proprietà medicinali, inquadrate nelle credenze dell’epoca. Ecco quindi che certi cibi avevano proprietà purificanti, altri fortificanti, altri servivano a eliminare gli umori dannosi, altri a riequilibrare le energie del corpo. Ecco, secondo me tentare di riprodurre questi effetti in un contesto fantasy non è utile, innanzitutto perché la medicina medievale è un guazzabuglio quasi inestricabile di miti, credenze infondate, distorsioni di precetti religiosi, e chi più ne ha più ne metta. Inoltre si rischia di perdersi in dettagli poco divertenti, mentre lo scopo dell’introduzione della cucina nel GDR è di far colore, di dare l’idea che il mondo segua regole tutte sue anche in questo aspetto marginale. Verosimiglianza, non realismo. Infine, nel gioco fantasy esistono forme di guarigione magica che certamente toglierebbero importanza alle proprietà mediche vere o presunte dei cibi. Quello che può essere utile è di partire dall’idea di base secondo cui tutti scelgono i cibi in base alla disponibilità, al costo e alla difficoltà di preparazione, senza tener conto di elementi quali le proprietà disintossicanti della tal pietanza macerata nella verbena durante la quaresima…

…salvo poi ripescare questo elemento suggestivo utilizzando i mostri. Chi l’ha detto che un bugbear non sia commestibile? Secondo gli autori di NetHack TUTTO è commestibile (tranne i coboldi, che fanno venire il mal di stomaco, ma sto divagando). Una cockatrice potrebbe essere una prelibatezza rara come il pesce palla, e come lui potrebbe avere effetti spiacevoli se preparata in maniera scorretta. Oppure potrebbe esistere tutta una tradizione orale sulle proprietà dell’ingestione di parti speciali di mostri, che il Master si può divertire a inventare e applicare sul campo. Anche nel mondo moderno, alcune specie animali sono state portate sull’orlo dell’estinzione dalla credenza di proprietà portentose di alcune loro parti. Cosa accadrebbe in un mondo fantasy? Quali opportunità creerebbe per un gruppo di avventurieri?

Un approccio alternativo: ho sempre trovato difficile da giustificare l’introduzione nell’ecosistema di mostri potentissimi accanto a animali “normali”. Un orso cambierebbe radicalmente le sue abitudini se non fosse più in cima alla catena alimentare perché esistono “orsi crudeli” o draghi o manticore in grado di papparselo in un boccone. Quindi nei “miei” mondi fantasy, esiste un principio non scritto secondo cui le creature non naturali sono in qualche modo imparentate con la magia e per il loro sostentamento sulla lunga distanza devono cacciare e nutrirsi di altre creature dello stesso tipo. Come dire che i mostri si cacciano tra loro e in condizioni normali considerano il mangiare un animale comune al pari del nutrirsi di un vegetale. Al tempo stesso, gli animali normali rifuggono dai mostri, spinti dallo stesso istinto che impedisce loro di mangiare erbe velenose. Può apparire una forzatura e non piacere a tutti, ma considerate che un animale come il lupo è minacciato nella sua esistenza dal semplice espandersi degli insediamenti umani. Figuriamoci se avesse un competitore naturale come un basilisco. In più, ciò spiegherebbe il fatto che i mostri più potenti e intelligenti, pur non temendo più di tanto gli esseri umani, non assediino permanentemente fattorie, villaggi e città, che viceversa potrebbero essere la loro fonte primaria di sostentamento. In realtà, secondo la ricostruzione alternativa che propongo, gli umani sono di scarso interesse per una manticora, che, magari, deve per forza cibarsi di ettin e pantere distorcenti per non perdere vigore. O addirittura uccide gli umani solo per divertimento, come il gatto che gioca col topo, oppure li uccide per non cedere il suo territorio, ma non li mangia perché le fanno male, e così via. Considerate l’idea di introdurre un concetto simile nel gioco. Ovviamente, questa interpretazione è difficile da armonizzare con l’idea di mostri con proprietà benefiche. Eppure è possibile: potrebbe trattarsi di una situazione simile ai farmaci moderni: fa bene da una parte e fa male dall’altra (effetti collaterali), quindi la gente non mangia “mostri” tranne quando ne ha assoluto bisogno per motivi terapeutici. Scegliete un’idea e portatela alle estreme conseguenze con coerenza.

La prossima volta generiamo taverne. Oh, yeah.

E buon appetito.

Lovecraft e i GDR – parte ottava


9070040_origRagazzi, questa cavalcata attraverso i giochi di ruolo lovecraftiani sta cominciando a logorarmi. Non mi sto annoiando, ma devo dire che il senso di deja vu cresce a ogni puntata. Ogni regolamento ha spunti interessanti, e quasi ogni regolamento contiene descrizioni più o meno prolisse di quelli che secondo gli autori sono gli ingredienti di una storia “alla Lovecraft”, descrizioni che tendono a essere ripetitive. Ho però l’impressione che gli autori, tutti gli autori, senza eccezioni, tendano a rimanere in superficie. Come dire: sottolineano i punti chiave dello stile di Lovecraft, e lo fanno con una certa efficacia, ma stentano a trovare il bandolo della matassa quando si tratta di scavare un po’ di più e di capire perché le storie del sognatore di Providence ci affascinino tanto. Io non ho una risposta, sia ben chiaro, ma confesso che speravo di trovare qualcosa di più in tutta questa marea di manuali e in questi fiumi di inchiostro. Forse è un errore in partenza quello di pensare che si possa sezionare l’impalpabile atmosfera che rende un autore quello che è, catalogare gli infiniti piccoli dettagli che costruiscono la sua visione e il modo in cui questa visione è percepita dal lettore. Forse la mia ricerca era troppo ambiziosa. A mia difesa tengo a precisare che non ho mai preteso di scoprire il segreto della magia di Lovecraft, non è nelle mie corde. Io sono uno di quelli che non vuole sapere i trucchi del mestiere, detesto quelli che non riescono a godersi uno spettacolo di illusionismo senza rovinare tutto facendo commenti sui possibili trucchi usati dal prestigiatore. Io voglio credere.

Però se voglio anche giocare, prima devo capire. Almeno un po’. E così andiamo avanti e becchiamoci anche questo

Macabre Tales

Pubblicato da Spectrum Games nel 2011, scritto da Cynthia Celeste Miller, questo gioco si presenta con una grafica che richiama le riviste pulp, anche nella copertina. L’interno ha uno sfondo lezioso in stile “carta riciclata stropicciata” che sarà bello quanto volete, ma se vi procurate il pdf e tentate di stamparlo vi costerà un rene. Dopo il rituale omaggio al Maestro, questa volta con “The Statement of Randolph Carter” invece del solito Call of Cthulhu, si comincia col regolamento. Continua a leggere

Lovecraft e i GDR – parte settima


Oggi si parla dell’evoluzione di un GDR minimalista scritto da un furbacchione che di GDR e di Lovecraft se ne intende: Graham Walmsley. Autore di perle come “Play Unsafe” e “Stealing Cthulhu”, ci aveva stupito anni fa con il suo Cthulhu Dark, un gdr che stava su una pagina. E adesso ci riprova con l’evoluzione della specie, direttamente da Kickstarter:

Cthulhu Dark

Ma come, si chiama allo stesso modo? Cominciamo bene…

Cthulhu_Dark_350E invece no, miei venticinque lettori, la fantasia al nostro autore difetta solo quando si tratta di inventare i nomi per i suoi giochi. Ma andiamo per ordine…

Domanda: Come fai a espandere un gioco da tre paginette fino a fargli raggiungere la dimensione di 198 pagine formato “Letter”? Risposta: non lo fai. Lo espandi fino a un massimo di una decina di pagine e tutto il resto sono consigli e ambientazione. Ci troviamo di fronte a una versione ripulita e meglio spiegata del buon vecchio Cthulhu Dark, cioè un gioco che fa della leggerezza del regolamento una forma d’arte. Mi limiterò al regolamento, riservando solo un cenno fuggevole alle quattro ambientazioni “di base” spiegate nel manuale. Il regolamento vero e proprio è tutto in quattro pagine, che potete scaricare dalla pagina di kickstarter dell’autore, insieme con altre “preview”. Qui c’è il link diretto.

Quando dico che il regolamento è una versione meglio spiegata del regolamento precedente, intendo proprio questo. Ogni riga delle suddette quattro pagine viene spiegata e commentata nelle dieci pagine successive. Devo dire che, ai tempi, pur apprezzando la semplicità di Cthulhu Dark e la sua innovativa indipendenza dai dettagli, ero rimasto spiazzato proprio dalla estrema sintesi delle regole. In molti punti mi sono domandato cosa intendesse dire l’autore, o come si dovesse interpretare una certa regola. Ora che mi viene fornita l’interpretazione autentica di quasi ogni parola, sono un uomo felice. Perché, capite, sono all’opposto dello spettro, per cui mi faccio prendere dal panico quando vedo una creazione personaggio così:

“Choose a name and occupation; describe your investigator”

Punto. Dove sono le statistiche? Una tabellina per creare un background? Due linee guida? VOGLIO LA MAMMAAA!! Continua a leggere

Lovecraft e i GDR – parte quinta


Questo post doveva trattare di Lovecraftesque, ma, mentre mi accingevo a procurarmi il pdf di questo gioco, in barba al fatto che praticamente ogni recensione che ho letto ne parli maluccio, mi sono imbattuto in qualcosa che ha calamitato la mia attenzione. E ha calamitato la mia attenzione per il solo fatto di chiamarsi “The Cthulhu Hack“. Capitemi, sono da sempre un appassionato di NetHack, il celebre “roguelike” (se non lo conoscete, convertitevi e scaricatelo subito, infedeli!). Ho chiamato il mio sistema di GDR casalingo “Dungeon Hack” e in generale ho ammirazione per chiunque si cimenti in accrocchi improbabili ma funzionali (“hacks”, appunto). Vado su Drivethrurpg e vedo “The Cthulhu Hack”. Mio, senza passare dal via.

Siccome nella mia infinita presunzione ritengo che questo gioco sia sconosciuto ai più, farò eccezione alla regola che mi ero imposto, cioè di non scrivere vere e proprie recensioni, limitando i miei commenti alla possibilità di riprodurre con i vari giochi un’esperienza il più possibile vicina, per struttura e atmosfere, ai racconti di Lovecraft. In questo caso l’articolo somiglierà di più a una recensione, almeno nella prima parte.

Il Manuale

Il manuale base è costituito da 44 pagine formato a4 scritte grandi e impaginate a larghi spazi, ma il regolamento vero e proprio arriva solo fino a pagina 31. Più in là c’è un’avventura di prova. Un regolamento così, un nerd degli anni settanta se lo ciuccia in otto minuti, che diventano quattro se si considera che le caratteristiche dei personaggi sono le buone, vecchie sei caratteristiche del D&D. Curva di apprendimento piatta. Ma attenzione, vale la pena di leggere con calma perché le similitudini con il dangione e il dragone si fermano qui e si rischia di giocare in modo sbagliato, finendo per spararsi un D&D in salsa Lovecraft laddove invece si aveva per le mani un sistema di gioco originale e brillante. Non esiste artwork, a parte i disegni in scala di grigio a inizio capitolo, che sono belli come Platinette (con o senza trucco, fate voi). In compenso la copertina è bella, e ve la riproduco qui sotto:

TCH-front-cover-v1

Ahhh, il Grande Cthulhu che torreggia su un peschereccio… queste immagini sono come le canzoni degli AC/DC: tutte uguali, ma ne vorresti sempre di più.

Torniamo a noi. Il sistema di gioco è un adattamento di The Black Hack, che è un sistema OSR sotto licenza Open, che potete trovare (in italiano, yahoooo!) qui:

https://the-black-hack.jehaisleprintemps.net/italian/

Il personaggio è definito dalle solite sei caratteristiche, generate con 3d6 in sequenza, con possibilità soltanto di scambiare due caratteristiche tra loro. Brutale, mi piace.

Le caratteristiche sono chiamate Saves, perché entrano in gioco ogni qual volta il personaggio debba evitare un effetto negativo. Si tira 1d20 e si deve stare sotto la propria caratteristica più pertinente. In pratica è lo stesso sistema di Call of Cthulhu applicato al d20, con una “grana” più grossa: immaginate un CoC giocato con meno Abilità, arrotondate sempre al 5%.

Esistono poi le Resources, cioè tutto ciò che viene in rilievo quando è il personaggio a volersi attivare per ottenere un effetto. Le Resources si dividono in Supplies, Sanity e Investigation (che a sua volta si divide in Smokes e Flashlights). Supplies sono gli equipaggiamenti, tutto ciò che un personaggio può voler utilizzare nelle sue avventure: proiettili, libri, attrezzi, automobili… qualsiasi cosa. Qui c’è la prima particolarità del sistema: gli equipaggiamenti (e il loro utilizzo) sono astratti, nel senso che il giocatore annuncia ciò che vuole fare e il Master può richiedere un tiro di equipaggiamento. In tal caso l’equipaggiamento fa il suo lavoro, e dopo il giocatore tira il dado corrispondente al suo livello di equipaggiamento (per esempio d12). Se ottiene un 1 o un 2, il dado corrispondente a quella Risorsa scende di un grado: la prossima volta il giocatore tirerà un d10. Quando si fallisce un tiro con il d4, la risorsa è esaurita temporaneamente – tranne che per la Sanità, in cui un fallimento sul d4 porta direttamente al manicomio.

La Sanità la conosciamo bene, e funziona come gli equipaggiamenti, tranne che per quanto sopra specificato e per il fatto che un fallimento nel tiro di Sanità comporta sempre un attacco temporaneo di pazzia.

L’investigazione si divide in Smokes (tutto ciò che un personaggio può fare per minacciare, corrompere, affascinare ecc.) e Flashlights (tutto ciò che il personaggio può fare per notare, trovare, capire, interpretare ecc.) Anche qui, quando il Master chiede un tiro di dado, la risorsa investigativa dà comunque un risultato positivo, un indizio di qualche tipo, ma se il successivo tiro di dado fallisce, la risorsa scende di un livello e l’indizio è accompagnato da una complicazione. In questo modo la narrazione progredisce anche in caso di fallimento, con una sorta di “fail forward” potenzialmente molto efficace per far evolvere l’azione drammatica.

La creazione del personaggio procede spedita, e dopo la generazione dei punteggi di caratteristica si può scegliere un archetipo, che fornisce tutti i dettagli necessari, compresi i punti ferita (ahimè, sembra proprio che non se ne possa fare a meno). In alternativa, si possono scegliere questi dettagli creando un personaggio “freeform”, cioè indipendente dall’archetipo.

Elementi di gioco come la distanza e la velocità di movimento sono gestiti in maniera non-tattica, vale a dire che è impossibile giocare a The Cthulhu Hack con la griglia (e vorrei ben dire…). Le distanze sono: contatto, vicino, lontano, molto lontano. Il tempo è calcolato in Momenti, Minuti e Scene.

Al combattimento sono dedicate tre pagine, che può sembrare poco ma è il 10% del regolamento. Non mi dilungherò su questo aspetto, vi basti sapere che la struttura del combattimento è molto semplice e adatta a risoluzioni rapide, con molto margine per la narrazione da parte del Master. Si tratta in sostanza di una successione di Saves sia per gli attaccanti che per i difensori (For per il combattimento corpo a corpo, Des per quello a distanza), che presumo abbia la tendenza (come tutti i giochi Old School) a fare affidamento sulle decisioni estemporanee del Master per essere adattato alle idee partorite dai giocatori e risultare meno monotono del solito “attacco + tiro per i danni”.

Sanità

Croce e delizia dei giochi Cthuleschi, qui la Sanità è definita come la presa sulla realtà e sui propri sensi. In senso lato, ricalca quanto esplicitato molto meglio nel classico Call of Cthulhu. La particolarità è che ogni volta che si fallisce un tiro di Sanità, oltre a scendere di un livello (fino al minimo del d4) si subisce un attacco temporaneo di pazzia. C’è una tabella su cui tirare casualmente il tipo di reazione anomala che avrà il personaggio (amnesia, paranoia, isteria ecc…) con consigli per interpretarla. A me questa cosa piace molto, per vari motivi. Innanzitutto la semplicità: un tiro di Sanità con il dado corrispondente e un tiro su 1d6 per interpretare la follia temporanea. Poi mi piace il fatto che la tabella riprenda le ampie categorie utilizzate da Lovecraft che, nella loro inappropriatezza e nel loro essere clinicamente superate, hanno il vantaggio di riprodurre l’atmosfera dei racconti e di non cozzare con i recenti sviluppi della scienza medica. Come dire, le categorie sono talmente antiquate da non consentire un parallelo con patologie mentali vere, creando potenziale disagio a certi giocatori. Nessuno al giorno d’oggi parla più di “isteria” (è scomparsa anche dal DSM V), ma niente come un attacco di isteria fa tanto anni Trenta.

C’è inoltre una regola opzionale (che io userei di default) che distingue vari tipi di orrore,  da quelli più domestici a quelli più trascendenti, riservando al contatto con i Miti il tiro Sanità duro e puro. E’ inoltre possibile introdurre anche un tiro “intermedio” di Shock, adatto a fare da cuscinetto per posticipare un po’ la spirale di discesa nella follia.

Altra regola opzionale che mi ispira molto è l’Adrenalina. Ogni personaggio inizia con due segnalini Adrenalina, da spendere per superare automaticamente un test di Sanità, al prezzo di consentire al Master di fargli acquisire, in un qualsiasi momento, una Orribile Verità (in termini di gioco, si tratta di effetti negativi vari, come introdurre una nuova minaccia, mettere in pericolo un innocente, forzare un tiro Sanità o Shock e altre perverse amenità).

Antagonisti

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4.712 punti ferita, o orrore sovrumano impossibile da affrontare e razionalizzare? ‘aa seconda che hai detto.

Gli antagonisti si dividono in comuni e attinenti ai Miti. Per creare quelli comuni, il sistema fornisce poche, utilissime regole. Per quanto riguarda i Miti, c’è un intero capitolo intitolato “Mythos 101” che dà una panoramica essenziale dell’immaginario lovecraftiano e dettaglia gli antagonisti “minori” (Byakhee, Elder Things, Gouls ecc.) e rinuncia a dare statistiche per gli Inenarrabili e Blasfemi Orrori Cosmici… vivaddio, qualcuno si è accorto che dare punti ferita al Grande Cthulhu fa ridere i polli!

Magia

Tanto per scoraggiare gli avanzi di D&D che si avventurano negli infidi territori dei Miti: anche solo imparare un incantesimo fa scendere permanentemente la Sanità di un livello (e qui di livelli ce ne sono al massimo 5, ho detto tutto). Gli incantesimi sono descritti in termini ampi, che lasciano spazio all’interpretazione e a quel tantino di gestione a regola-zero che nel gioco horror a me piace tanto tanto…

E’ tutto

O quasi. L’avventura introduttiva è stranamente ambientata ai giorni nostri, e serve solo per dare una sorta di interpretazione autentica di alcune meccaniche che sono descritte in maniera tanto scarna da risultare un po’ criptiche. Nel bundle che ho acquistato c’erano anche:

  1. La scheda personaggio, semplicissima e funzionale
  2. La scheda personaggio estesa, brutta e inutile
  3. La copertina fronte-retro, bella (vedi sopra)
  4. Character cards, praticamente un duplicato della scheda personaggio, ma forse sono io che non capisco l’utilità… boh
  5. The Cthulhu Hack From Unformed Realms, un supplemento di 20 pagine che contiene tabelle per generare orrori lovecraftiani da inserire in giochi diversi da TCH, curioso e bizzarro anche se forse un po’ troppo naif
  6. La copertina solo fronte
  7. The Haunter In The Dark, un’avventura completa per TCH
  8. TCH Hit Dice As Resource, una paginetta che spiega come usare lo stesso sistema delle Risorse anche per la salute del personaggio, sostituendolo ai punti ferita.

Che per 13 dollari e 33 non è poi malaccio.

Sì ma… funziona?

TCH ha tutte le carte in regola per funzionare egregiamente, sia come strumento per generare sessioni mystery con un sapore lovecraftiano, sia per ricercare l’esperienza più purista che si possa ottenere da un gioco di ruolo. E’ semplice, facile da imparare, facile da giocare, favorisce l’immedesimazione, rispetta il canone lovecraftiano in un modo che forse produzioni più blasonate non hanno avuto il coraggio di fare. Questo gioiellino nascosto è balzato nella top five dei giochi che voglio provare più prima che poi, e forse è un serio candidato al premio “gioco lovecraftiano ideale”, titolo che però verrà assegnato solo dopo aver provato i tre finalisti per almeno una sessione ciascuno (minimo). Per adesso passa il turno a mani basse, forte di un design essenziale e diretto, di un regolamento coerente e di un rispetto per la creatività del Master e per le fonti letterarie che i regolamenti “triple A” soffocano sotto a una marea di opzioni e dettagli tutto sommato utili solo per chi non conosce le suddette fonti.

Keep gaming.

Miti da sfatare – Battaglie medievali 3


vasariAltra puntata sui miti da sfatare riguardanti le battaglie medievali. Dopo aver accennato agli eserciti in movimento e aver riportato sulla lancia l’attenzione che merita, questa volta parlerò un po’ di

Campi di battaglia

Nei film si vedono spesso larghe inquadrature di morbide colline, di pianure erbose, di pascoli verdeggianti. Su di essi gli eserciti si schierano con ampie manovre e tramite linee ininterrotte di uomini e cavalli. Meh… situazione a dir poco infrequente.
In realtà nel medioevo le colline e le pianure erano tutte lavorate e in ogni caso erano piene di ostacoli, naturali e non. A dire il vero, anche la foresta era coltivata (ma questo sarà argomento di un post futuro). Non erano frequenti neppure i pascoli, giacché il sacrificio di terra fertile per una coltura a pascolo non era giustificabile. Tant’è vero che nell’alimentazione medievale non era presente il bovino nella stessa quantità – smodata – in cui è presente al giorno d’oggi. I pascoli erano più frequenti nelle zone montane, dove non era possibile coltivare se non tramite arditi terrazzamenti artificiali (che comunque erano presenti fino a quote assurde, tipo 1200-1300 metri s.l.m.). Quindi dimentichiamoci il campo aperto. Continua a leggere

Lovecraft e i GDR – parte quarta


Sulle Tracce di Cthulhu

gdr-tracce-di-cthulhu-1024x652Questo gioco prende il sistema Gumshoe e lo trasporta nel mondo di Lovecraft. Per chi non conoscesse il sistema Gumshoe, ecco la versione breve: sistema adatto a gioco di ruolo investigativo basato sulla premessa che il divertimento non sta nella raccolta degli indizi, ma nella loro interpretazione. Reggerà bene al trapianto? Oppure i Miti provocheranno una crisi di rigetto?

Vediamolo insieme.

Il sistema

Il GUMSHOE System viene usato in diversi giochi pubblicati dalla Pelgrane Press. La prima ambientazione è stata The Esoterrorists, pubblicata in Italia dalla Janus Design come Esoterroristi. A questa se ne sono aggiunte poi altre, tra cui Sulle Tracce di Cthulhu.

Il sistema ruota intorno al concetto secondo cui il divertimento in un’avventura investigativa è dato dall’interpretazione degli indizi, non dalla loro ricerca. L’idea è: se un personaggio, per fare un esempio, sta cercando un volume in una biblioteca e questo volume, a causa di un tiro di dado andato male, non si trova, i personaggi non riusciranno a progredire nell’avventura oppure il Master dovrà arrabattarsi per farglielo trovare per forza. Quindi perché non automatizzare la fase di raccolta degli indizi e concentrare l’intervento dei giocatori sulla successiva fase di interpretazione? Se il personaggio in questione ha Ricerche Librarie e va alla biblioteca per cercare il tomo, siamo certi che egli lo troverà. Continua a leggere

Lovecraft e i GDR – Parte Seconda


cthulhuHo intenzione di proseguire nell’esplorazione di come sia possibile trasfondere nel gioco di ruolo le atmosfere lovecraftiane rimanendo fedeli all’impostazione letteraria data dall’Autore e alla natura peculiare dell’orrore nelle sue opere.

Dal prossimo post di questa serie mi dedicherò ad analizzare vari sistemi di gioco, tentando di individuare quali elementi in ciascun sistema di regole rinforzino la visione lovecraftiana e quali invece la stemperino senza volerlo. Una premessa è doverosa: tutti i giochi che analizzerò sono belli, tutti hanno meriti e tutti sono ben fatti. La mia ricerca è un divertissement, un esercizio ozioso da “purista” fatto per divertirmi. Vedetelo come un’analisi a tavolino volta a individuare quale sia il gioco “cthulesco” più adatto al mio gusto, e quindi quale sarà quello che mi deciderò una volta per tutte a giocare davvero. Alla fine di tutto, mi ritroverò con una lista di meccaniche di gioco, delle quali alcune si saranno rivelate valide, altre neutre e altre addirittura controproducenti. Questo può avere valore orientativo non soltanto nella scelta del sistema “migliore” per giocare “alla Lovecraft” ma anche un’utilità più generale, quella di gettare uno sguardo approfondito sulla vera funzione di alcune meccaniche che si possono ritrovare anche in altri generi e in altri giochi. Nelle mie intenzioni, inoltre, dovrebbe avere anche lo scopo di delineare quello che intendo per orrore lovecraftiano e, nel definirlo meglio, di farmi scoprire se sia possibile davvero riprodurlo nel GDR.

Tanto per togliermi il pensiero, attaccherò subito il peso massimo del genere, il Richiamo di Cthulhu. Seguirà Sulle tracce di Cthulhu, basato sul sistema Gumshoe. Se sarò ancora vivo, mi dedicherò a giochi “minori” o a valutare se sistemi generici siano convertibili con successo a questo sotto-genere di horror.

Il problema che devo affrontare è duplice: da un lato, come ho già ammesso in precedenza, l’analisi sarà basata soltanto sui manuali, senza “gioco giocato” a guidarmi. Confido nell’intervento integrativo dei lettori che hanno giocato a questi giochi per confermare o smentire le mie impressioni. Da un certo punto di vista, a ben vedere, il non aver giocato a nessuno di questi giochi può rivelarsi un vantaggio, perché non ci saranno ricordi di gioco a viziare le mie impressioni sui manuali e sui sistemi di regole.

Il secondo problema è la mole di lavoro che mi aspetta. Leggere un manuale di un gioco per estrapolarne e valutarne le regole principali sulla base di parametri alquanto personali, non necessariamente quelli ispirati a principi generali di buon game design, è per lo meno faticoso e molto dispendioso in termini di tempo. Tanto più che, per evitare di scrivere fregnacce, miei adorati venticinque lettori, ho deciso di rileggere per l’ennesima volta l’opera di Lovecraft, specialmente quella più legata ai miti di Cthulhu (ma questo non è un sacrificio, anzi, è la parte migliore dell’esperimento).

Tra l’altro ho scoperto che su youtube si trovano degli eccellenti audiolibri in lingua originale dei principali racconti di Lovecraft: basta cercare “Lovecraft audiobooks”. La voce narrante è bellissima e la prosa lovecraftiana è ricercata e appaga l’orecchio. Così quando gli occhi sono brasati da alcune ore di lavoro al computer più un paio d’ore di svago (sempre davanti allo schermo), posso passare in modalità audio.

Non ho mai detto di essere normale, fratelli in Yogh Sototh.

Mai affermato tale assurdità.