Ci sono un sacco di mostri di D&D che considero stupidi, brutti, inutilizzabili, troppo potenti, troppo poco potenti, o addirittura ridicoli. C’è però una categoria che non sopporto, e magari qualche psicologo tra i miei lettori ci sarà e mi potrà dare indicazioni sul perché abbia così in odio tale categoria. Ci sarà di certo una ragione inconscia, che con tutta probabilità ha origine in un trauma infantile, magari legato al sesso, così tutti i clichè sono stati soddisfatti e siam tutti più tranquilli.
O forse sono proprio mostri di merda.
Sto parlando dei mix che io definisco “innesti”: uomo con testa di animale, animale con testa di uomo. Rakshasa: umanoide con testa di tigre. Yuan ti: umanoide con coda di serpente. Sirena: donna con coda di pesce. Centauro: cavallo con innestata la parte superiore del corpo di un umanoide. Nella categoria non sono compresi gli umanoidi mostruosi, tipo gli uomini lucertola. Di uomo non hanno niente, a parte il nome, sono a tutti gli effetti delle lucertole bipedi e un po’ intelligenti. E’ l’innesto che mi disturba. Mi suona come un modo sciatto, pigro, di costruire una creatura fantastica.
I più attenti obbietteranno: “Proprio tu parli, tu che adori il mind flayer, che non è altro che un umanoide con la testa di calamaro!” Sbagliato. Intanto il mind flayer ha tentacoli in faccia, ma non è un calamaro nè un umanoide con la testa di calamaro. Poi c’è una gerarchia nei principi che regolano la mia nerditudine, e il principio “i mix uomo-animale sono mostri loffissimi” è di gran lunga inferiore al principio “everything is better with tentacles”. Quindi non mi ammorbate, rivendico il mio diritto all’incoerenza mascherata da cavillosi distinguo. E bom.
Tornando agli “innesti”… in realtà l’idea dell’innesto nasce in epoche molto remote, in cui la maggior parte delle persone non aveva un arsenale visivo ricco come quello di cui disponiamo noi. Nei primi anni di vita di una persona si sviluppano i “mattoni” con cui il suo cervello in futuro interpreterà la realtà e creerà la fantasia. Infatti, anche la creazione fantasiosa più ardita non è altro che la rielaborazione di elementi semplici, a noi noti. Siamo fatti così, l’originalità totale non ci appartiene in quanto esseri umani.
Non è un mistero che i migliori artisti fantasy siano individui che sono stati esposti a una grande varietà di stimoli, soprattutto visivi, quando erano giovani. Ci sono illustratori che arrivano a consigliare ai giovani che vogliono intraprendere una carriera artistica di “perdere tempo” con film, fumetti, videogiochi, perché queste immagini sono cibo per la mente. Saranno interpretate, rielaborate, ricombinate, e produrranno un output creativo molto più ricco di chi non ha avuto questo tipo di “alfabetizzazione visiva”. Oggigiorno abbiamo tutti a disposizione un’offerta “del fantastico” immensamente più abbondante e variegata di quanto non avvenisse in epoche passate, e il gusto si è evoluto di conseguenza.
E’ ovvio che per una persona del 1300, che non aveva accesso ad altro che alla realtà quotidiana, il bagaglio visivo fosse povero. Era quindi più bassa la “soglia di attivazione” della meraviglia. Prendi un uomo, prendi una capra, mischiali… ecco un mostro orribile. E infatti il diavolo se lo immaginavano anche così. Confrontatelo con un drago del manuale di D&D per intuire quello che sto cercando di esprimere con le mie inadeguate capacità verbali. Anche il drago di D&D ha le corna, ha una coda, ha ali di pipistrello, ha scaglie di serpente, magari sputa fuoco. Come si vede, anche un mostro “moderno” (doverose le virgolette quando si parla di modernità del drago) non è altro che una ricombinazione di elementi visivi conosciuti, è solo più complesso dell’uomo-capra. Ma allora, se non ci sono differenze qualitative, ma solo quantitative (il livello di complessità dell’innesto), anche gli innesti semplici dovrebbero essere validi. Anzi, dovrebbero godere dell’aura rispettabile conferita loro dalla vetustà. Sono mostri antichi, più semplici, ma più genuini. Il difetto starebbe in me, nel fruitore moderno, che richiede una complessità inutile, un mascheramento delle fonti, mentre l’uomo antico si faceva bastare pochi elementi non mediati per partire con la fantasia.
Non credo che sia così. Il satiro, la sirena, il minotauro mi sembrano oggettivamente mostri loffi, hanno un valore solo archeologico, per lo stesso motivo per cui oggi nessuno andrebbe a vedere per divertimento un concerto di musica monodica per timpani e lira. Se vuoi divertirti, vai a vedere un concerto di musica metal o jazz o persino classica. Il perché in ultima analisi mi sfugge, probabilmente c’è un motivo sociologico o antropologico o entrambi. Ma l’impressione è proprio che una cosa come il centauro sia l’equivalente mostruoso di un concerto di due ore per corno alpino. Magari ha una sua bellezza che io – becero – non capisco, ma mi sembra noioso da morire.
Keep gaming.
A me, i mostri compositi piacciono, ma devono avere un’armonia di qualche genere. Per esempio, trovo che il centauro possa avere un certo fascino, ma il centauro con le ali da folletto (sulla schiena umana, manco sui fianchi del cavallo) di un manuale di terza edizione… quello lo trovo indifendibile XD
Gli metti un vestito fru fru e hai la winx dei cavalli 😛
Certamente va a gusti. Personalmente, ho sempre trovato idiota il concetto del mimic e lo userei solo in una campagna umoristica ^^
il mimic merita un post dedicato!
Ok, va bene sui gusti non si discute… ma non toccatemi il Catoblepas che mi in***zo sul serio! 😉
Anche a me piace il catoblepas, ha una personalità.
Per quel che mi riguarda adoro moltissimo anche i centauri. Forse, come dicevi appunto sul tuo post, è solo questione di ampliare il proprio spettro di immagini da “biblioteca” mentale. Ad esempio un centauro così può davvero accendere quel certo click mentale per affascinare.
Credo che sia un po’ lo stesso discorso che fa Gracula quando dice che i mostri compositi devono avere un po’ di armonia. La resa visiva è importante, e l’esempio sopra è perfetto. In sostanza l’artista ha cercato di uniformare l’aspetto delle diverse parti, che è precisamente una forma di quel “mascheramento delle fonti” di cui parlavo, di certo molto blanda ma nondimeno efficace.