backpackCroce e delizia dei dangionari più hardcore, cavallo di battaglia dei rules lawyer, tragedia dei powerplayer. La regola più ignorata della storia di D&D e affini, e paradossalmente l’unica regola che riuscirebbe a introdurre un po’ di verosimiglianza nelle avventure fantasy. Da cui si deduce che della verosimiglianza non importa un granché quasi a nessuno. Oppure l’ingombro ha ancora qualcosa da dire? Scopriamolo insieme.

Sin dagli albori del gioco di ruolo, improntati a un’esplorazione minuziosa di dungeon letali e alla ricerca di bottino da depredare, gli autori hanno cercato di introdurre un qualche tipo di meccanismo che riproducesse la difficoltà di portarsi in giro l’equipaggiamento e i tesori. Non mi addentrerò nella disamina delle tabelle dei pesi basate sui diversi punteggi di Forza del personaggio. Quelle sono un grottesco monumento alla vanità umana, alla nostra velleità di trasformare tutto in numeri, di comprendere, catalogare, prevedere. Voglio invece suggerire spunti di riflessione per un miglior gioco, suggerire una serie di idee a cui non si pensa quasi mai durante una sessione ma che potrebbero rivelarsi ottimi pretesti per giocare – letteralmente – di ruolo.

Se guardiamo qualche film o qualche serie tv di avventura notiamo subito che certe questioni pratiche rivestono grande importanza. I western non sono soltanto sparatorie, ma anche e soprattutto cose come: la traccia è fangosa, i carri sono troppo pesanti, non abbiamo provviste a sufficienza, il passo montano è praticabile solo tre mesi all’anno, accidenti il fucile è sul cavallo e non posso raggiungerlo, mi hanno rubato il cavallo con le provviste, troviamo un riparo per la notte e via dicendo. Spesso l’avventura è costituita proprio dalle difficoltà oggettive di organizzazione, trasporto, approvvigionamento. Se poi parliamo di guerra, risulta evidente che in tutte le epoche e in tutti i luoghi essa è quasi esclusivamente un problema di logistica.

Siamo d’accordo che un gdr fantasy in stile D&D si basi sul combattimento, o comunque su situazioni epiche, eroiche, che sembrano stonare con necessità triviali quali: mangiare, dormire, riposare ecc. Figuriamoci con l’anticlimatica questione del trasporto dei tesori guadagnati durante l’avventura. Tuttavia il genere fantasy vive anche di questi aspetti. Il maestro Tolkien sviluppa un intero personaggio su queste necessità, ne fa il pragmatico, indispensabile pilastro del gruppo: sto parlando di Samvise Gamgee (o Samplicio, come da adesso sarà conosciuto dai lettori italiani… grazie Ottavio Fatica, ti ricorderò nelle mie preghiere!). Notate con quanta finezza il Professore porti avanti, attraverso tutto Il Signore degli Anelli, il motivo di rifinitura costituito dalle traversie del povero Sam, che prima vuole portarsi dietro l’intera casa, poi cede alla necessità di selezionare i beni da trasportare, poi si dispera per aver dimenticato la corda, poi gioisce per il dono della corda elfica, infine raziona il lembas e cerca sempre e comunque di ricreare l’atmosfera di casa a ogni misero pasto. Tutto ciò fino alla fine del romanzo, quando la drammaticità crescente è sottolineata proprio dall’abbandono di tutti questi temi secondari, in favore dell’ultimo, disperato sforzo eroico in cui non c’è posto per nulla se non per l’annullamento di sé per la causa superiore. Credete che Sam che molla tutto e prende in spalla Frodo avrebbe avuto lo stesso impatto emotivo se prima non lo avessimo visto alle prese con le sue corde, padelle e provviste?

Questo è solo uno dei tanti esempi che si potrebbero fare. Il carico, l’ingombro, gli impedimenta, come acutamente li chiamavano gli antichi romani, sono l’avventura, o almeno parte di essa, e non ha senso ignorarli.

Ma come riprodurli nel regolamento? Domanda sbagliata. La vera domanda è: come interpretarli durante il gioco? Innanzitutto conoscendoli.

Il primo esempio che vi voglio fare è lo zaino. Tralasciamo il fatto che nel medioevo non esistesse il concetto di zaino come lo conosciamo oggi, questo argomento sarà oggetto di un post dedicato. Ammettiamo pure che in un medioevo fantasy invece lo zaino sia il sistema più comune per portarsi in giro le cose.

In omaggio alla tradizione, lo zaino viene usato per portare l’equipaggiamento, i sacchi per portare il tesoro. Che invece, essendo costituito da monete d’oro (altro anacronismo/stranezza del fantasy pseudo-medievale) è molto pesante. MOLTO pesante. Mille monete d’oro pesano circa dieci chili. Dieci chili sembrano più pesanti in un sacco che in uno zaino. Sembrano improvvisamente un’inezia se si usa una carriola.

Inoltre per un avventuriero portare uno zaino comporta una penalità a quasi tutto ciò che fa, una penalità non ridotta in maniera significativa dalla forza del personaggio, perché riguardante l’ingombro  generale, più che il “peso”.

Esperimento sul campo n. 1:

  • riempite un sacco di iuta con dieci chili di sassi e portatevelo in spalla per cinque chilometri.

Il disco di Tenser adesso comincia a sembrare meno assurdo, vero?

Esperimento sul campo n. 2:

  • Fate una passeggiata di quattro ore in media montagna (circa 2500 m), in una bella giornata d’estate, portando uno zaino leggero. Equipaggiamento: una maglietta di cotone, un paio di calze di ricambio, una giacca a vento leggera, un micropile, un berretto, una borraccia piena, qualcosa di leggero da mangiare, il cellulare, un coltellino svizzero, una carta geografica, un binocolo piccolo, un altro paio di cosette che adesso non mi vengono in mente, un mini-kit di pronto soccorso. Peso totale: meno di otto chili.
  • Provate a fare uno scatto di corsa di circa 50 m su terreno accidentato portando questo zainetto. Paragonatelo a uno scatto senza zaino e su terreno liscio.
  • Provate ad eseguire un qualsiasi lavoro accurato con il suddetto zaino sulle spalle. Per esempio, rispondete a un sms mentre, con il fiatone, interrompete la salita e vi appoggiate a una roccia sporgente.
  • Prendete un bastone e improvvisate un paio di movimenti di scherma senza abbandonare lo zaino. Accertatevi che non vi veda nessuno.
  • Annotate i risultati

Esperimento sul campo n. 3:

Ripete i passaggi soprastanti, questa volta portandovi dietro la tenda e l’occorrente per una traversata di un paio di giorni. Non vedrete mai più D&D con gli stessi occhi.

Tutto questo per dire che le regole sull’ingombro in D&D non sono restrittive, sono permissive. E’ praticamente impensabile che una persona riesca a combattere per la propria pellaccia indossando un’armatura, i vestiti, uno zaino pieno di carabattole, un mantello svolazzante, un paio di armi di riserva, una borraccia. Ma in D&D succede.

Proviamo a usare un po’ di buon senso, accantonando per un attimo la mentalità del “le regole non lo vietano, per cui lo faccio”. E voi colleghi Master, premiate l’onestà intellettuale del giocatore che ha il coraggio di ignorare la tabella degli ingombri e ammette che non riuscirà mai a portarsi via tutto quel tesoro con un viaggio solo. Quando qualcuno inizia a giocare davvero di ruolo, si verifica un effetto-valanga, per cui anche gli altri al tavolo cominciano a pensare di più come il loro personaggio e di meno come in un videogioco. Gli effetti sulla storia sono sorprendenti. Incominciano a generarsi occasioni di avventura a ogni piè sospinto. Per cui, per esempio, trovare il modo di portare via il tesoro del drago appena ucciso può essere un’avventura a sé stante. Pensiamoci.

Keep gaming.

6 pensieri su “Miti da sfatare: l’ingombro

  1. Per me, il problema del carico e dell’ingombro è uno solo, fondamentalmente: non è divertente stare a contare ogni minima sciocchezza scritta in scheda, sommare il peso di tutto e controllare che non sfori rispetto alla forza.
    È contabilità noiosissima, per me. Perciò sarei per valutare peso e volume a occhio, e se si va un po’ oltre l’umano, pazienza: è un gioco eroico, anche se si dovrebbe dire supereroico, finché un PG non gira con uno scranno e un capitello nell’equipaggiamento, per me non ci sono gravi problemi.
    Tanto più che altre necessità (come il cesso e cose simili) le do per scontate in ipotetici “tagli di montaggio”, dato che l’eccesso di realismo mi smorza la fantasia 😛

    Senza contare che D&D è un colabrodo di suo, dal punto di vista del realismo, proprio per non rallentare il gioco con miriadi di calcoli: altrimenti, un colpo di spada dovrebbe avere effetti più gravi di, boh 1D8 pf + mod. Forza, non ci sono regole ufficiali sulle emorragie, un personaggio di primo livello potrebbe essere ucciso in pochi turni da una colonia di gatti, si cresce di più sventrando mostri che studiando o facendo esercizio etc. 😉

    1. Sono d’accordo su tutto. E’ per questo che il mio approccio è “comincia a immaginarti le cose per benino, il resto verrà da sè”. Sul fatto poi del rapporto tra realismo e D&D, ci sarebbero da dire un sacco di cose, ma forse è meglio riservarle ad altri post.

  2. Il buon.senso credo debba venire in aiuto in questo tipo di situazioni per evitare esagerazioni in un senso o in un altro. È vero che le tabelle non sempre sono verosimili al 100% ma alla fine lo scopo rendere un evento reale in gioco e come ha detto il Conte Gracula giustamente non sempre possibile. Noi nel nostro gruppo per non sbagliare ai primi livelli riservavamo sempre un cura ferite leggere al mulo non si sa mai!

  3. Che il regolamento di D&D non simuli la realtà è abbastanza evidente… Credo che alla maggior parte dei giocatori di ruolo questo non interessi. Giocare in maniera più “realistica” è senz’altro possibile, ma è più impegnativo e bisogna essere tutti d’accordo. Raramente ho visto gruppi di gioco che si siano posti (seriamente) tale obiettivo…
    Quello dell’ingombro è un argomento su cui ho riflettuto spesso anch’io; attualmente, però, credo che non valga la pena di rifletterci troppo.

    1. Le energie che si riservano per guardare tabelle da mentecatti dovrebbero invece essere riservate a immaginarsi la scena in modo vivido. Da quello discende spontaneamente un gioco più “realistico”. Per carità, poi sono il primo a dimenticare che il tale personaggio stava trasportando un saccone pieno di monete, e magari me ne ricordo alla fine del combattimento. Però provare certe cose “nella realtà” aiuta molto. Per esempio, mi rendo conto di non rendere bene le descrizioni di cavalli, viaggi con animali da soma e compagnia bella perché sono fondamentalmente ignorante della materia. Forse se avessi provato a cavalcare e a mantenere un animale comunicherei molto meglio ai miei giocatori questo tipo di realtà.
      In fondo nel gioco di ruolo si vive una fantasia condivisa, e se mancano i “mattoncini” mentali con cui costruire le immagini vengono a mancare anche le scene e l’immedesimazione.

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