Lo so, lo so… l’Accademia della Crusca questa volta ha tutto il diritto di sentirsi vilipesa. L’unica attenuante che posso invocare è che il termine bullshit è il più adatto a descrivere il concetto che ho in mente. WARNING: volgarità assortite più avanti. Oggi dico le parolacce, perché mi va.
Cazzata è troppo generico. Anche una battuta mal riuscita è una cazzata. Una cazzata può essere propinata involontariamente. Ma se qualcuno ti somministra bullshit, sa esattamente quello che fa.
Bufala, bellissimo termine che assurge a paradigma dell’Italia moderna, a stile comportamentale politico e mediatico standard, comprende in sè una nota di premeditazione concertata, una sorta di “cartello” più o meno consapevole tra più soggetti che hanno uguale interesse a distrarre la popolazione da questioni diverse e magari più importanti. Una bufala può essere bullshit, ma ci può essere bullshit D.O.C. che non è per forza una bufala. Bullshit può provenire anche da un singolo essere umano, e persino in maniera inconsapevole o mediata.
Stronzata reca un’involontario senso di errore: ho fatto una stronzata (nel senso di “ho fatto una stupidaggine”), ti rendi conto che è una stronzata? (ti rendi conto che stai ingannando prima te stesso e poi gli altri?).
Minchiata è l’omaggio che il popolo siculo ha fatto all’Italia intera, testimonianza della loro superiore attitudine a conoscere l’intima natura umana. Non è sinonimo perfetto di cazzata, è più clamoroso, più roboante, e al tempo stesso più penetrante, ferisce come un coltello. Non a caso chi è che dice e fa minchiate, se non una testa di minchia? Non ci vedete una disapprovazione molto maggiore che nello scanzonato, e tutto sommato innocuo, “testa di cazzo”? La stessa sonorità onomatopeica di “minchia” implica, con quelle “i” separate da un gutturale “ch”, qualcosa di sottile e tagliente, che fa male oltre che danno. La “n” serve solo a darle ritmo, a italianizzarla, ma non riesce a ingentilirne il suono. No, decisamente “minchiata” non è quello che cerco, è troppo aggressiva. La bullshit si fa amare, è lo zuccherino che ti fa ingoiare la pillola amara.
Se poi usciamo dal turpiloquio, la desolazione è totale. Millantare significa solo esagerare, non significa sviare del tutto l’attenzione su questioni di nessuna importanza. Falsità? Bugie? Troppo aridi, troppo inamovibili della loro granitica certezza di significato. Una cosa è falsa se non è vera, punto. Non c’è spazio per il dubbio, sul quale invece prospera il cumulo di bullshit su cui quotidianamente adagiamo le nostre menti sfibrate. Internet ci bombarda con notizie che definire false sarebbe lusinghiero, perché se non altro avrebbero il sigillo di un contenuto certo. Falso, ma certo. Invece la pseudo informazione cospirazionista, il sistematico ingigantimento progressivo di una notizia grande quanto un granello di sabbia, il timore strisciante che qualcosa di innocuo sia invece nocivo o l’ostentata certezza che qualcosa di nocivo sia del tutto innocuo nascono, crescono e muoiono su un substrato costituito dal “non si sa più a chi credere”, prosperano su un humus di frasi dette a mezza bocca, di citazioni sbagliate, di statistiche citate a sproposito.
Truffa ha il sapore tecnico dell’articolo 640 del codice penale, comprende una buona dose di dolo specifico, la finalità di profitto del truffatore a danno del truffato. Non c’è dubbio che gli “artifici e raggiri” di cui parla il codice siano in sostanza bullshit, per cui se la truffa è il fine, la bullshit è il mezzo. Gli stereotipati napoletani truffatori dei film di Totò possono benissimo essere spacciatori di bullshit, ma ne sono anche i principali consumatori. La bullshit non si fa usare impunemente. La bullshit si vendica, torna indietro, una volta messa in circolazione colpisce tutti indiscriminatamente.
Che termine meraviglioso, espressivo. Senti il gonfiore, vedi la montagna di sterco. Il nulla che si mette in bella mostra. Percepisci la puzza della falsità dell’oratore e l’orribile fetore della connivenza dell’ascoltatore.
E io ho deciso di resistere. Voglio credere di poter resistere. Voglio vivere in un mondo de-bullshittizzato. Gli anni hanno avuto su di me un effetto di disincanto e caduta di ogni disponibilità a farmi prendere in giro. Il che non significa che non sia anch’io vittima di numerose, dolorose prese per i fondelli. Di clamorosi abbagli. Ma almeno le illusioni più evidenti, quelle almeno le ho eliminate. Se una cosa è troppo bella per essere vera, non è vera. Se una cosa è troppo facile, fa male. Se è gratis, la pagherai il doppio. E guardo negli occhi le persone. E quello che vedo il più delle volte non mi piace. Non vedo sentimenti “sani”: gioia, dolore, paura, rabbia, amore, o persino odio. Vedo grigio. Torpore. Rimbambimento da bullshit.
Cinico? No, al contrario. Il cinico è un nichilista, uno che non crede a nulla. Io invece noto che per ogni grammo di bullshit che riesco ad epurare dalla mia vita, guadagno un chilo di entusiasmo per le cose vere e belle della vita stessa. Cose che prima non vedevo nemmeno, oppure che vedevo in modo distorto dalle grottesche esagerazioni frutto, appunto, di una visione bullshittizzata.
Piccoli trucchi per vedere la realtà in trasparenza, il vecchio buon senso, persino gli insegnamenti delle favole che ascoltavamo da bambini… tutto questo ci può proteggere dal lavaggio del cervello. E storie. Storie “vere”, cioè inventate ma che parlino di verità universali. E giochi di ruolo tradizionali. Sì, proprio loro. In un’epoca di gioco d’azzardo online sponsorizzato dallo Stato, di “app” ammazza-neuroni, di reality show desolanti, trovarsi intorno a un tavolo per un gioco carta e penna è molto più che un momento di evasione, è un’esperienza eversiva. Rivoluzionaria.
Keep gaming.
Concordo in tutto e per tutto.