Dov’ero rimasto? Ragazzi, che caos riprendere dopo la pausa estiva… se trovate degli svarioni portate pazienza, la testa è ancora al mare.
Prendiamo le mosse dal consiglio n. 5 (personaggi, non architettura) con una tecnica che serve proprio a dare spessore all’ambientazione e darà alle vostre sessioni una marcia in più. Oggi parliamo del:
6. Potere dei nomi
I nomi sono fondamentali. Nomi di luoghi, nomi di persone, nomi di mostri, nomi di incantesimi. Dare un nome a qualcuno o a qualcosa significa dargli vita, personalità, spessore. Secondo una certa tradizione magica, conoscere il nome di qualcuno significa acquisire potere su di lui. Gli esseri umani hanno l’esigenza di dare un nome a tutto, perché anche la cosa più spaventosa, quando ha un nome, è in qualche modo conosciuta, ridotta a misura d’uomo. Il più delle volte si tratta di un’illusione, e noi non abbiamo il controllo di un bel niente, ma è un’illusione potente. Non a caso certe cose si preferisce menzionarle il meno possibile (morte, cancro ecc.), come se il solo atto di pronunciare il loro nome ne evocasse in qualche modo il potere. E’ vero anche il contrario: per disinnescare una paura si comincia con l’etichettarla.
Esempio: hai mal di testa. Sei agitato, preoccupato, non passa mai. Vai dal medico, che ti visita e dice “è cefalea”. Pfiuu, pensavo peggio, aspettiamo che passi. Cefalea significa “mal di testa”.
I nomi hanno potere e il Master deve saperlo padroneggiare.
Quando dare un nome ai PNG
SEMPRE. Dando nomi significativi a persone e luoghi li si rende conosciuti, familiari, o almeno conoscibili, per cui ogni PNG deve avere un nome. Deve trattarsi di nomi interessanti, e la tecnica per dare i nomi meriterebbe un capitolo a parte. Il consiglio principale è di preparare una lista di nomi, divisi per cultura di appartenenza e magari sesso. Seguite le seguenti, semplici, linee guida.
Evitate i nomi troppo lunghi. Anch’io ho chiamato un mago “Satarerfiriand Terzo”, ma ero giovane e stolto. Voi non fatelo.
Evitate i nomi contenenti “X”, apostrofi o suoni insoliti: i vari Xanatos, Xena, Abraxas hanno rotto le scatole. Din’in, U ‘netai, O’del saranno comunque pronunciati Dinin, Unetai, Odel, per cui non ha senso complicarsi la vita. Ah*nes (in cui l’asterisco rappresenta lo schiocco di gola dei Boscimani) è una sboronata senza senso e nessuno se ne ricorderà, men che meno lo pronuncerà correttamente.
Evitate i nomi buffi, a meno che non abbiate un intento manifestamente parodistico. Insistete affinché i vostri giocatori non chiamino il proprio personaggio “Salkazz” o “Sventrapapere” perché da Conan a Brancaleone il passo è breve.
Evitate i nomi comuni. I nomi comuni sono per persone comuni come noi. Nel mondo fantasy permettete a voi stessi di essere epici, ovviamente senza sconfinare nel ridicolo. Se Aragorn si fosse chiamato Giuseppe gli avrebbero sbattuto le porte di Minas Tirith in faccia, altro che ritorno del re. Pezzente.
Evitate i nomi conosciuti. Di Conan ce n’è uno. Di Gandalf pure. Di Elric pure. Un po’ di fantasia ragazzi.
Copiate dalle culture umane reali, oppure da periodi storici differenti. I fighissimi nomi tolkieniani vengono tutti da saghe nordiche, opere anglosassoni e germaniche, lingue esotiche. Per prevenire facili obiezioni, specifichiamo che, per un Inglese, “Bilbo” non è un nome prosaico come appare a noi italiani: è semplice e familiare, ma al tempo stesso ha un tocco insolito, e in ogni caso non fa che esaltare l’epicità di gente come “Celeborn e Galadriel, signori di Lothlorien”. Mica pizza e fichi.
Quando dare un nome a un luogo sconosciuto
Chiedere ai giocatori di esplorare Sakshas, la Città del Rimpianto genera aspettativa, curiosità, voglia di scoprire perché si chiama così. Lanciarli contro il castello del cattivo di turno senza farcirlo di toponimi interessanti è un’occasione mancata per stimolare l’immaginazione. Dando un nome a un luogo ottenete l’effetto immediato di inserirlo nel contesto del mondo di gioco. Ha un nome, quindi “altri”, diversi dai PG, ci sono stati. E’ misterioso per i giocatori ma non per il mondo intero. Ovviamente questa abitudine paga anche in termini contrari: se siete abituati a dare nomi ai luoghi, quando i PG raggiungeranno un luogo senza nome capiranno di essere davvero ai confini del mondo conosciuto: non esiste modo migliore per inculcare ai giocatori la mentalità “di frontiera” tipica di molte ambientazioni D&D. E’ senz’altro molto meglio che dire loro: “siete ai confini del mondo conosciuto”.
Quando nominare un incantesimo
Il meno possibile. Gli incantesimi nel Manuale sono tutti nominati, per forza di cose, ma dichiarare che l’avversario lancia una palla di fuoco è una scorciatoia da evitare il più possibile. Meglio descrivere brevemente gli effetti, quello che i PG vedono e sentono. I giocatori capiranno comunque che si tratta di una palla di fuoco, ma almeno per stavolta il meta-pensiero è stato sconfitto. Un incantesimo è da nominare quando è l’oggetto principale di una ricerca, oppure è un rituale lungo e complicato che non è contemplato dal Manuale del Giocatore. Se gli eroi sono chiamati a procurarsi i rari ingredienti di un incantesimo per un arcimago, fate che sia la Trasmutazione Sottile di Pengolan, o la Gabbia delle Anime, o qualcosa di ancor più evocativo che adesso non mi viene ma ehi, questo è il vostro lavoro: spremete le meningi, amici Master!
Quando nominare un mostro
Se i PG affrontano mostri noti, tipo goblin o orchi, tenete sotto mano la vostra lista dei nomi universali perché se ai Pg viene in mente di fare prigionieri (e a qualcuno viene sempre in mente) sarà utile far uscire il prigioniero dal mucchio. Non – ripeto – NON improvvisate i nomi dei mostri, perché se non vi chiamate Tolkien vi verranno fuori solo porcherie.
Viceversa, in tutti gli altri casi, NON NOMINARE MAI I MOSTRI. Sono da evitare non solo i nomi propri, ma anche la candida – e distruttiva – dichiarazione del tipo di mostro. “Vedete un beholder che fluttua verso di voi” fa preoccupare i giocatori che ne hanno già incontrato uno, ma in generale non terrorizza quanto una bella descrizione. I creatori del Manuale dei Mostri non sono dei cretini e per questo hanno inserito una piccola descrizione per aiutare i Master alle prime armi: meglio di niente usate quella. Se poi al termine della descrizione uno dei giocatori dice, con aria di chi la sa lunga, “è un beholder”, l’effetto non è rovinato, anzi è potenziato. Oppure potete punire il saputello cambiando al volo il tipo di beholder, dandogli poteri insoliti, oppure inventando ogni sorta di nefandezza per cambiare le carte in tavola. Ahhhh, le gioie di Parpuzio…
Questo approccio ha anche un ulteriore lato positivo: potete usare mostri presi direttamente dal Manuale dei Mostri senza che nessuno si accorga di cosa sta affrontando fino a quando è troppo tardi. Potete addirittura usare le stesse statistiche di un goblin, cambiare radicalmente descrizione e comportamento et voilà: ecco un nuovo mostro pronto all’uso. E quando un mostro si ritira dal combattimento, mai e poi mai cedere alla tentazione di dire ai giocatori di cosa si trattasse. Lasciate il mistero. Niente nome, niente potere sull’ignoto, più paura. Alcuni arriveranno a creare un nome di sana pianta (ho visto anche questo!) pur di togliersi l’incertezza. Bene! Vuol dire che li avete coinvolti al punto giusto.
Bravo pennymaster.
Aggiungo che però la scena da te descritta di Aragorn di nome Giuseppe sarebbe stata bellissima!
A me, Bilbo ha sempre dato l’idea tipo “ecco Bilbo, l’idiota del paese, che arriva!”, non so se mi spiego 😀
Comunque spero che nella sessione con Satarerfiriand Terzo, tu non avessi un giocatore con la “R” moscia 😛
Tempo fa avevo scritto pure io un post sui nomi dei personaggi, ma non era divertente come questo 🙂
V